La coppa vitrea ai Musei di Villa MirabelloCoppa Trivulzio al Museo
Archeologico di Milano

Varese, Villa Mirabello. Una passeggiata per il museo, attraverso la sezione romana e medievale può rivelarsi per un visitatore curioso ricca di sorprese. Vasi in ceramica, piatti, antiche tubature, monete, grandi contenitori in bronzo… e due pezzi unici, un vero vanto per una collezione archeologica.

La Coppa Cagnola – 
Ha uno spazio tutto per sé, nell'ultima sala dell'esposizione, un bel bicchiere in vetro, una coppa che prende il nome da Don Guido Cagnola, che la donò al Museo. Oggetto di cui non si conosce la provenienza, ma che per la fattura e la tecnica di esecuzione è un po' un"perla rara" nello scenario europeo.

Una produzione di lusso – 
Tecnicamente parlando, il vaso appartiene alla categoria delle diatreta, cioè contenitori in vetro traforati. Si trattava di prodotti di lusso, destinati all'aristocrazia, prodotti soprattutto nel IV secolo dopo Cristo. Non se ne conservano molte intere, in Italia solo dieci attestazioni, un'altra celeberrima è la coppa Trivulzio, conservata al Museo Archeologico di Milano.

Diatreta?
Molto complessa è la creazione di questa tipologia di oggetti. Si partiva da una forma grezza di vetro, ottenuta per soffiatura in uno stampo, su cui erano applicati più strati di vetro colorato. Questa forma era poi tagliata a freddo, per creare decorazioni.
La diatreta varesina è decorata da due colonnine tortili e due scanalate, che si alternano a maschere tragiche.

Dal produttore al consumatore. Probabilmente questi preziosi bicchieri erano destinati a banchetti e convivi. Infatti alcuni sono decorati da lettere che componevano scritte augurali, che inneggiavano al vino e al banchetto. Il pezzo varesino era forse una delicata lampada, sospesa mediante catenelle, ora perdute.

Gli orecchini – 
Proseguendo la passeggiata, quasi alla fine della esposizione, in una piccola sala dedicata all'Altomedioevo, si trova un paio di orecchini in argento. In questo caso è ben nota la storia del ritrovamento. Nel 1879, in occasione di lavori casuali, a Ligurno venne alla luce una sepoltura: fra gli oggetti del corredo, che

Ricostruzione dell'uso degli orecchiniRicostruzione dell'uso degli
orecchini

comprendeva un bracciale in bronzo, un contenitore in ceramica, proprio un paio di orecchini.

Orecchini non banali – 
Gli studiosi definiscono questa tipologia di orecchini a cestello, per la forma del pendaglio. Si tratta di un tipo di orecchini che si diffuse nel Mediterraneo intorno al VI secolo d.C.. Era un periodo politicamente instabile, l'antico impero romano cedeva ai colpi dei barbari. Eppure certi generi di lusso come i gioielli non smisero mai di circolare.

Le origini – 
Le oreficerie di quegli anni erano di altissima qualità ed ebbero una distribuzione internazionale. Probabilmente gli orecchini a cestello erano diffusi già prima del VI secolo, prima dell'arrivo dei Longobardi in Italia e se ne vedono gli antecedenti negli orecchini a castone fisso. Luogo di origine sarebbe stato l'Oriente, Costantinopoli in particolare, i cui prodotti poi giunsero nelle botteghe artigianali italiane.

Uno status symbol.
Non sempre vale l'equazione "oggetto prezioso nella sepoltura, quindi ricchezza della defunta". Ma in questo caso la presenza degli orecchini in associazione a altri oggetti lascia supporre che la defunta appartenesse ad una classe elevata e godesse di una certa agiatezza. Fra l'altro orecchini di questo tipo sono stati ritrovati anche a Sesto Calende e nel castrum di Laino in provincia di Como.
Due perle dei musei locali, frammenti di storia e di vita passata. Esempi di grande artigianato, di vera e propria arte manifatturiera, specchio per noi moderni di una società che amava il lusso e l'ostentazione. Frammenti vivi di un mondo che oggi studio, ricerca e passione possono ricostruire. Intanto un invito a tutti al Museo per vedere da vicino questi capolavori.