Esprimere l'interiorità umana infinita, sensibile e invisibile attraverso il corpo. E' questo l'intento delle opere di Haruko Goda (Tokyo 1981) che in galleria espone due lavori dal titolo Trasmigrazione dell'anima. "Nell'atmosfera che ogni essere umano emana. Percepisco la sua storia. Ma l'interiorità umana è rinchiusa nel corpo e non è visibile allo sguardo. Però penso che rappresentando sulla carta i movimenti degli esseri umani con la mia matita posso avvicinarmi alla loro interiorità. Le emozioni sono in continuo cambiamento. L'uomo e la sua vita sono una fonte di ispirazione per me. Il disegno mi permette di cogliere ed esprimere sulla carta, i pensieri, le emozioni, e la bellezza in un istante. Perciò scelgo la tecnica del disegno perché così posso coglierle subito ed esprimerle immediatamente. In questo modo continuo a disegnare con passione".

L'opera di Giulio Locatelli (Bergamo 1993) è qualcosa che si oppne radiclmente al quadro da cavalletto. Uno degli elementi che caratterizza il suo lavoro artistico è infatti la cucitura. "Il segno del cucito, l'equivalente di una traccia a matita, a pennello, una testimonianza che porta con sé tutte le esperienze compiute. La cucitura, né descrittiva né decorativa, quanto più espressione del mio gesto che si rende libero e si spinge verso una nuova dimensione. L'arte del vedere, del saper cogliere, del sentire, del percepire elementi che arricchiscono e maturano la vita vissuta, tradotta e manifestata nell'espressione creativa. Il gesto artistico per mostrare e portare a consapevolezza l'esperienza della vita legandola all'immaginario di tutti". Esprime orgoglio e soddisfazione presentando le sue opere in galleria, "per l'impegno, lo studio, la passione e la dedizione che metto nel mio lavoro. Il lavoro essendo esposto in galleria e di conseguenza potendolo vedere dal vero ha sicuramente un suono diverso rispetto all'immagine digitale in quanto la carta ha una propria pelle sensibile che il fruitore vedendola dal vero può cogliere a differenza dell'immagine a monitor".

La scultura entra in Galleria Ghiggini attraverso l'opera di Stefano Morelli (Rho 1983). Nella mia ricerca artistica cerco un sottile dialogo tra la figura e la sua sparizione. Cancellata dall'azione o dissolta nella materia essa si riduce ai suoi termini essenziali, fino a quasi sparire dall'orizzonte dei concetti. Ancora qualcosa di lei resta tra i ritmi, i volumi, i colori: resta un'idea della figura anche nel buio della sua assenza. La scultura, per via della sua ineliminabile fisicità ha bisogno di un occhio di riguardo per essere narrata efficacemente. Questa per me è una occasione importante, tanto più che farà conoscere lavori il cui medium artistico è di per se poco spendibile nella comunicazione contemporanea".

Visionaria, surreale e leggera. Le due opere presentate da Cristiana Mustaro (Sapri 1994) portano il titolo de "Il Ciarlatano": "Mi consegno ad una realtà immaginaria e fantastica, fatta di ferini soggetti e di graffiti di recinti incantati, nei quali il mio pensiero si perde. Lavoro sulla potenzialità di racconto delle figure creando un arcipelago di storie narrate legate da un flusso di testi, talvolta miei talvolta d'altri (Queneau, Shakespeare…), che sul foglio, sulla tela o sulla scultura diventano gesso e segno".

"Penso che lo scopo dell'arte sia quello di raccontare qualcosa e di suscitare una reazione, una sensazione o un'emozione nel fruitore". Nelle opere di Leonardo Prencipe (Manfredonia 1985) "ci troviamo di fronte non solo all'oggetto in sè, al rottame, al mucchio di ferraglia e ruggine, ma andando oltre quella che è la semplice funzione del vedere, ci troviamo di fronte all'idea. All'idea abbandonata, all'idea dismessa, a quella stessa idea che attraversando il progresso e dopo aver fatto il suo tempo è stata accantonata, messa in disuso ed ammucchiata a tutte quelle altre idee che ormai non fanno più testo nel nostro contemporaneo. Un'idea, come quella della creazione di un'auto, del suo design e dei suoi materiali di utilizzo (che tendono ad essere superati in un brevissimo lasso temporale), per quanto possa essere geniale, comporta un bagaglio di conseguenze difficili da smaltire. L'esempio più palese è sicuramente rappresentato dal rifiuto, cioè lo scarto, nonché il riflesso che ne rimane dallo sfruttamento dell'idea stessa. Estremamente rilevante è quanto questo lascito dell'idea abbia un'incredibile impatto sull'ambiente circostante; ecco allora che rottami e piante interagiscono creando un intenso tanto più violento contrasto tra artificio e natura".

"Chi voterà il mio lavoro spero lo faccia perché ha ricevuto delle sensazioni o sono scaturiti pensieri che aprono a nuove direzioni o, semplicemente, si è sentito a casa." La ricerca di Stefania Zorzi (Gavardo 1985), intima ed umana, "ha come punto centrale il corpo che si relaziona a se stesso, allo spazio e alla materia. Le opere diventano scorci di vita e spinta ad una continua metamorfosi del sé. Gli autoscatti raccontano un vissuto quotidiano che, reinterpretato, porta alla rivelazione della solitudine e della difficoltà di costruire un'identità stabile nell'era contemporanea. C'è un'attenzione continua sul rapporto tra l'uomo e gli spazi, che siano costruiti o naturali, e su come il nostro passaggio segni ogni cosa, tramite energie ed oggetti. Attraverso la fotografia tento d'imprimere un ulteriore segno di passaggio e di relazione tra la presenza umana e il luogo che lo circonda. Le opere sono quindi frammenti su cui ci si chiede di soffermarsi, quasi raggelate performance di eventi e intime confessioni, che rendono il legame arte-vita sempre più stretto".


La mostra in Galleria Ghiggini (Via Albuzzi, Varese) è visitabile dal martedì al sabato con il seguente orario: 10-12.30/16-19 – ingresso libero.

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