Muovendosi per l’hinterland milanese e nel varesotto, specie in giornate uggiose, può capitare di imbattersi in punti di colore che accendono non solo il panorama, ma anche l’umore.

Rilassare e riflettere: ecco, i lavori di Cristian Sonda fanno proprio questo effetto. Classe 1976, Cristian nasce a Milano e dal 1991 inizia a fare dei muri il suo tavolo da lavoro.

“Non so come sia nato l’artista, dipingo sui muri dal 1991, da quando ero adolescente” racconta “volevo esprimermi, divertirmi, mettermi alla prova e stimolare la mia competizione, così ho cominciato a sviluppare figure interessanti, che trovarono poi un riscontro di pubblico. Da qui le mostre, come quella al PAC di Milano nel 2007, trasformando il mio lavoro piano, piano, naturalmente e inaspettatamente. Ora mi chiamano artista, se fosse stato per la carica e le motivazioni lo sarei stato anche da adolescente, ma forse non lo sono neppure ora. In realtà poco mi interessa, quel che mi preme è esprimermi attraverso la pittura, trasmettere il mio immaginario, non ho mai cercato medaglie o titoli.”

Pittate semplici, mostre, progetti, è come una grande tavolozza che prende colore, che si riempie di occasioni. Cristian fa del capoluogo lombardo la sua tela principale, ma i suoi lavori si possono vedere in tutta la penisola.

“Mi nutro di immagini e contemporaneità, quindi non ho un punto di riferimento, un centro del cerchio. Attraverso il mio stile cerco di raccontare concetti, di suscitare emozioni e riflessioni, forse è per questo che non mi identifico in nessuno stile” dice l’artista “Ho inventato uno stile pittorico semplice e accattivante. Posso definirlo uno stile ingannevole da un certo punto di vista: le forme e i colori nella loro semplicità sono studiati per trarre in inganno lo spettatore, specie quello che si approccia per la prima volta al mio lavoro. Ci si trova immersi  in un mondo che evoca sensazioni di tranquillità, che ricorda fiabe e ricordi anni 80, una sorta di angolino rassicurante della memoria dove nulla di brutto può accadere, ma è quasi sempre il contrario di quello che appare. I miei dipinti raccontano di problemi contemporanei, politica e frustrazioni degli uomini e dei tempi moderni.”


Incentrandosi sulle tematiche sociali Sonda pone l’interrogativo oltre che l’attenzione sulle problematiche che affliggono il mondo di oggi. Il suo non è solo un dialogo con il colore, ma anche con le persone, un coinvolgimento per fare entrare nel vivo del problema le persone comuni.

Sono molti i lavori in solitaria, così come molte le collaborazioni con altri artisti, come quella con Bros, ma è con i workshop che si crea maggiormente questa interazione tra artista, contemporaneità e persone. Proprio grazie ad uno di questi progetti collettivi sui muri di Castellanza, qualche mese fa, è stato realizzato un murales sull’acqua, sulla sua risorsa e l’inquinamento di quest’ultima.

“Il progetto Arte Partecipata nasce nel 2012, in maniera casuale ed in risposta ad un muro con dipinte delle svastiche. Insieme ad un gruppo di educatori e professionisti decidemmo di restaurare il muro coinvolgendo ragazzi e cittadinanza, utilizzando l’arte per trasmettere valori e, in qualche modo, educare. Fu un successo strepitoso e fu il primo progetto di street art partecipata in Italia, con un grande risvolto mediatico. Ad oggi il progetto va avanti. Arte Partecipata è una scelta e MAI un’opportunità. Dipingere con la gente è il mio modo di esprimermi attraverso l’arte, una sorta di marchio di fabbrica. Il dipinto diventa il vettore di un progetto lungo mesi, la parte conclusiva di un lungo lavoro di collaborazione, non meno importante delle fasi progettuali e didattiche.”

Muri, progetti, pubblicazioni, la frequentazione dello IED ed i cambiamenti espressivi, questo e molto altro fa parte del bagaglio culturale di Sonda, uno tra i pionieri di quella che è stata la street art.

“Nel 2003 ci chiamavano quelli che fanno le cose strane perché andavamo oltre ai semplici spray, utilizzando pennelli, stencil e poster. Ad oggi la street art è notevolmente cambiata e non si dovrebbe neppure chiamare così, a mio parere, perché non è neanche un pallido ricordo di quello che fu.”

 

Ileana Trovarelli