Giac Casale fotografato dalla figliaGiac Casale fotografato dalla figlia

Impossibile conoscere Giac Casale e non sentire il desiderio di mettersi in ascolto dei suoi racconti. Così, a poche ore dall'inaugurazione della mostra 'Giac Casale VISIONI IN JAZZ', in programma alla Fondazione Bandera per l'Arte dal 18 ottobre al 7 dicembre, nasce questa intervista.

Hai avuto la prima macchina fotografica all'età di sette anni ma la tua carriera artistica è iniziata dipingendo. Mi parli di quel periodo della tua vita?
"E' vero, ho iniziato come artista ed erano gli anni dell'Espressionismo astratto, un periodo molto libero in cui dipingevo senza passare dai disegni preparatori. Mi è sempre sembrato molto naturale, trovandomi davanti alla tela o ad un foglio di carta bianca, lasciare che qualcosa accadesse e difficilmente mi è successo di buttare un foglio. Iniziavo a sporcare con i colori e lasciavo che una semplice linea diventasse un'immagine. Personalmente penso all'atto creativo come a un momento spontaneo. A volte però questa spontaneità veniva meno perché mettendomi davanti alla tela, come raccontava Pollock, anch'io sentivo qualche grande maestro che mi diceva: «Ok, Giac, what can we do now?. Perché non aggiungi un po' di colore o non cambi soggetto?» Con la fotografia non mi sono mai posto questo problema. Ho iniziato presto a lavorare nel campo pubblicitario ed editoriale e non avevo modelli da seguire. Pur conoscendo la fotografia e ammirando i grandi fotografi non provavo nei loro confronti la stessa soggezione che avevo per i grandi maestri della pittura. Nella fotografia mi sentivo libero da ogni influenza ed è proprio questo atteggiamento che mi ha permesso di realizzare i miei lavori più importanti. Nel mio click c'è l'intuizione dell'attimo, tutto il corpo reagisce. Non è un'analisi, ma un atto intuitivo. Il primo click è sempre quello giusto, non il secondo più ragionato e neanche il terzo perfezionato".

Cristina MoregolaCristina Moregola

Le fotografie che formano il percorso della mostra sono le immagini dei più grandi musicisti jazz. In realtà guardandole si sente la musica, il suono, la vibrazione. Il corpo stesso dei musicisti perde di consistenza, da corpo-materia diventa corpo di luce, vibrazione esso stesso. Questa è un'idea dalla quale sei partito o alla quale sei arrivato?
"Non sono partito da nessuna idea e non è c'era un progetto preciso. Io stesso continuo ancora adesso a scoprire qualcosa di nuovo in queste fotografie e mi pongo sempre nuove domande. Tutto quello che è successo e, forse non mi sono mai detto, è che queste foto sono la mia pittura. Mentre fotografavo io suonavo con loro, ma suonavo la mia musica con i miei strumenti, ero anch'io un musicista che stava componendo una propria partitura di luce e di colori. E questo era uno scambio bellissimo tra la mia musica e la loro. C'è un'altra cosa importante da dire: io non potrei più fare quelle fotografie, è un capitolo chiuso della mia vita e non solo perché non ci sono più gli stessi musicisti, potrebbero essercene altri, ma perché quegli scatti sono stati realizzati nel momento giusto, in uno stato di grazia, che non si può più ripetere. Mi è sempre successo così nella vita: ogni mio lavoro ha avuto una sua storia, una sua durata e soprattutto una sua energia. Non puoi tornare indietro altrimenti stai copiando qualcuno che non sei più tu". 

La tua introduzione nel catalogo della mostra "Jazz, una ricerca fotografica all'interno della musica dei grandi maestri del jazz" ha un bellissimo titolo "The light on the water of the river". Sono parole tue?
"Sono parole che ho scritto tanto tempo fa, vanno lette verticalmente perché devono dare l'idea di scender dall'alto, come una cascata. La luce che vibra sulla superficie dell'acqua è l'arte, costantemente sospesa sulla vita che scorre come un fiume. Il momento creativo è quel riflesso improvviso e irripetibile che scaturisce dall'incontro tra luce e acqua".

Cosa ti aspetti da questa mostra alla Fondazione Bandera?
"Quando fotografo lo faccio per me stesso e per nessun altro, ma come un bambino quando corre per la prima volta cerca l'approvazione del padre, così anche l'artista vuole condividere la sua emozione, in attesa dell'applauso, non tanto per un'egocentrica gratificazione, ma perché questo applauso è un atto d'amore tra l'artista e il suo pubblico. Queste fotografie sono molto importanti: innanzitutto perché il jazz è una musica diffusa a livello mondiale, in secondo luogo musica e fotografia hanno qualcosa in comune, né l'una né l'altra hanno bisogno di parole".