Amore e Psiche a palazzo MarinoAmore e Psiche a palazzo Marino

É sempre bello durante i giorni lunghi delle feste passare un pomeriggio a Milano e per chi ha la passione di andar per mostre le occasioni in questa città proprio non mancano: Picasso a Palazzo Reale, certo, ma anche, secondo me imperdibili, i Tarocchi Sola Busca (a Brera) arrivati fino a noi dal XV secolo. E non solo. Eccone una personalissima scelta.

Come ogni anno, a Palazzo Marino, sponsor l'ENI, presenta in sala Alessi un'opera di grande rilievo. Quest'anno addirittura due, entrambe provenienti dal Louvre: Amore e Psiche di Antonio Canova e Psyché et l'Amour di François Gérard. Pressoché coeve – 1797 la scultura, di un anno dopo la tela – esaltano impeccabilmente la bellezza attraverso il linguaggio neoclassico. Camminando su un tappeto di finta erba mentre le pareti si animano di vegetazione "piranesiana e in tutta la sala si diffonde "l'odore fresco di lavanda e di menta crispa", si viene coinvolti dentro il mito narrato da Apuleio di Amore e Psiche, simboli rispettivamente della passione e dello spirito e davvero non si sa se ammirare di più l'acerba venustà dei corpi canoviani o la sensualità più consapevole delle figure di Gérard. "Chacun a son goût" cantano a Vienna nel Pipistrello di Johann Strauss la notte di San Silvestro. A Milano giochiamo d'anticipo davanti a questi due capolavori.

Basta attraversare piazza della Scala ed eccoci in quello

Mosaici del CamparinoMosaici del Camparino

che vien ora nominato Palazzo Beltrami, già sede della mitica Banca Commerciale di Raffaele Mattioli. In esso Intesa San Paolo ha inaugurato da poco il "Cantiere del ‘900", riunendo delle moltissime che possiede 189 opere di 153 autori ospitate negli immensi e solenni saloni progettati da Luca Beltrami, per l'occasione rivisitati dall'architetto Michele De Lucchi. Si parte dagli anni Cinquanta e si arriva allo scadere del secolo XX, dall'Informale alla Pop Art dunque (e anche oltre), da un Concetto spaziale di Lucio Fontana del 1952 ai lavori di Francesco Clemente che proprio in quell'anno nasceva. In mezzo un fervere di ricerche febbrili, nel "Cantiere" quasi sempre ben documentate, a dimostrare la vivacità, le aperture, le curiosità degli artisti italiani, agli inizi vituperati ed ora, se non da tutti apprezzati, almeno guardati cercando di capire.

A pochi passi da piazza Scala, in Sant'Andrea, via del lusso, palazzo Morando squaderna le opere del friulano (ma dal 1906 milanese) Angiolo D'Andrea, un "maestro tra Simbolismo e Novecento" come sottotitola la mostra voluta dalla Fondazione Bracco. D'Andrea fu incisivo disegnatore per la rivista "Arte Decorativa", fu suggestionato da Segantini (Gratia plena sta lì a dimostrarlo inequivocabilmente) e dal divisionismo, senza comunque esserne del tutto coinvolto. Ne rimase invece davanti alle distruzioni della Grande Guerra che violavano la secolare serenità dei paesi del Trentino: qui davvero la sua partecipazione sofferta e la sua condanna si fanno sentire.D'Andrea fu attivo anche nella decorazione architettonica in auge ai suoi dì, in cantieri prestigiosi come villa Erba a Cernobbio e casa Berri Meregalli in via Cappuccini 8, una strepitosa costruzione di G.U. Arata che consiglio di vedere allungando un po' la strada, magari anche con una visita a villa Necchi Campiglio nella vicina via Mozart. Ma se si é stanchi convien tornare verso la Galleria Vittorio Emanuele e far sosta nell'unico, elegante caffé rimasto, il Camparino, decorato da mosaici festosi di invenzioni e scintillanti di colori su cartoni appunto di Angiolo D'Andrea, liberty secondo alcuni, per me nuovo e moderno. Anche qui "chacun a son goût".