Le scommesse che affascinano – Fatta la tara di un vernissage meno affollato del solito, anche da parte di autorità istituzionali – un martedì piovoso, con un nome in cartellone che non evoca di primo acchito l'acquisita dimensione di icona presso il grande pubblico – la mostra di Gianluigi Toccafondo segna un punto importante per il futuro del Chiostro. Una prova che, scantonando dai nomi che 'non hanno bisogno di presentazioni', possono lanciare il monumento come sede di scommesse anche difficili e per lo più affascinanti.

La fisionomia – Non solo perché in qualche modo il monastero benedettino si va ritagliando una sua precisa fisionomia e una linea culturale, cosa non da poco, da queste parti. Ma perché può già a partire dal battesimo di Toccafondo, artista "invidiato dal mondo anche se meno noto in Italia" – come sottolineano i curatori, può permettersi di rischiare di più, tenendo alto il tiro della qualità, pescando in bacini ancora non del tutto abusati.

Il lato notturno – La dimensione della mostra e la qualità della scelta. Di queste due peculiarità va dato atto soprattutto. La mole dei lavori presenti e quello che rappresentano. Il B-side, quasi, dell'attività principale di Gianluigi Toccafondo, ideatore di sigle, di cortometraggi destinati a brand blasonati, che qui invece ha portato il suo cotè notturno, il suo lavorio più sciolto, ispirato, la massima espressione della contaminazione tra i suoi sogni di ragazzo della provincia artigiana e manuale e il loro compimento.

Pasolini, Pinocchio e gli altri – Vincenzo Mollica cita Paolo Conte, cita Federico Fellini. Gli orizzonti si allargano, le vibrazioni aumentano e scaldano la platea. Serve immergersi nei cortometraggi di Toccafondo per toccare quanto questo accostamento alle parole dei grandi abbia una sua giustificazione. Basterebbe solo fermarsi a guardare il suo cortometraggio realizzato per l'anniversario di Pier Paolo Pasolini, "Essere vivi o essere morti è la stessa cosa": colori murali, un monito scolpito, il riandare ai volti che a Pasolini hanno fatto da coro, la Mangano, la Betti, il riccetto. O il primo lavoro, "La pista", partendo da un vecchio tango sui passi di Ginger e Fred. O il suo delizioso Pinocchio, raramente burattino così tragicamente umano, nelle cui movenze, fisiche e psicologiche affiorano i comici amati, Totò, Stanlio, Eric Campell.

Meglio essere vivi – O la sigla ideata dall'artista per l'edizione del 1999 della Mostra del Cinema di Venezia, quella di Alberto Barbera. Asia Argento che si tuffa nel mare; in quel liquido amniotico in cui riapre gli occhi passano, come una meraviglia, frame  della storia del cinema: Marlon, Dean, Marilyn. Blu notte, come molti dei suoi migliori lavori preparatori. Blu come un vero colorista. Blu come tanta malinconia vitale che ti assale. Essere vivi o essere morti, non è la stessa cosa.