Avanguardia come intuizione, come atto di coraggio, come processo di scardinamento, che irrompe nella tradizione e la spinge verso la modernità, che il critico d’arte vede riassunta al meglio nel Guernica di Picasso, quintessenza della svolta. Ma prima di approdare a quel quadro, Caroli compie un magistrale excursus dei rivoluzionari dello sguardo, i ribelli dell’appartenenza, gli avversari del conformismo estetico. Perché Avanguardia è una parola che sboccia dalla poesia, quella di Baudelaire, e che Monet traduce in pittura, cercando nella celebre colazione sull’erba l’istante luminoso, l’ombra fatta di luce.

E’ il 1865. Vent’anni dopo Van Gogh scoprirà il misterioso equilibrio tra livello sensoriale e interiorità, suggerendo una via agli espressionisti e al precario, eterno equilibrio tra amore e morte che nei primi del Novecento pervadono il più famoso dei Klimt. Poco dopo, in una Parigi storicamente più avanti del comune sentire, Picasso e Matisse intrecciano i rispettivi turbamenti visivi, che lo spagnolo sfoga nella ricerca della quarta dimensione, svelando ogni faccia, illuminando ogni angolo, infrangendo ogni regola.

E’ un eterno nuovo inizio, continuamente sfidato dalla Storia, dalla guerra che incombe, dal sangue che inonda l’Europa, che il russo Kandinsky congela e immobilizza nelle sue asettiche geometrie e che, al contrario, l’italiano Boccioni riversa sulle vibranti tensioni della rissa in galleria, opera seminale e scintilla ispirativa per i visionari che molti anni dopo domineranno la pittura statunitense.

Filo conduttore di questa inebriante cavalcata, riportata nell’ultimo libro di Caroli, è la chiave che consente a ciascuno di noi di guardare al futuro con lo stupore del fanciullo: una chiave chiamata Bellezza.
«E poi l’idea di bellezza cambia nel tempo: quando ero piccolo e cantavano i Beatles non erano belli ma oggi sono diventati un modello di bellezza; c’è stata un’epoca in cui Caravaggio era ritenuto l’esempio del brutto e oggi, invece, è ritenuto giustamente l’esempio del bello. Insomma cambia nel tempo ma l’importante è avere sempre quel legame profondo, quella volontà di comunicare ciò che, almeno per noi, è un’idea di bellezza. Comunque finchè è salva la parola bellezza andiamo bene».

Nella fotografia ci sono i puristi che dicono niente file, niente photoshop, la fotografia deve essere ancora pellicola, come si faceva un tempo, perché se no è troppo facile fare belle foto e allora anche qui: l’arte esiste ancora con la tecnologia prepotente di adesso?
«Sì sì, sicuramente. Deve esistere per forza, d’altronde anche qui è molto opinabile. L’importante, questo è il punto di fondo, è la magia. Non è ma…non sono gli strumenti con cui si comunica la magia. Gli strumenti vanno bene tutti, qualsiasi cosa ve bene, a patto che dietro ci sia magia, commozione e voglia di percepire e comunicare bellezza».

Matteo Inzaghi