Bramantino a Milano, una mostra indimenticabileBramantino a Milano, una mostra
indimenticabile

Solo se si pensa alla passione che Giovanni Agosti con Jacopo Stoppa e Marco Tanzi vi ha profuso – delle conoscenze infinite neanche a parlarne, basta leggere le schede in catalogo, davvero autentici saggi -andare a visitare la mostra dedicata a Bramantino a Milano, aperta fino a qualche giorno fa, diventava un obbligo perentorio. Fin dall'intitolazione essa parlava chiaro, promettendo solo quello che dell'artista si trova nella città, a quei dì un po' sforzesca e un po' francese, o, al massimo, nelle vicinanze, come a Mezzana di Somma dove son custodite due tempere probabilmente giunte lì da Milano grazie ai Visconti. Tuttavia quel che si è visto, riunito in intensa sequenza, non era proprio poco e assordava nella sua preziosa bellezza e nella sua ermetica poesia dentro le due sale del Castello Sforzesco, quella del Tesoro e quella della Balla. Lo studio dell'architetto Michele De Lucchi, seguendo l'impostazione decisa dai curatori, non ha cercato allestimenti ad effetto e nemmeno creato ambienti oscuri o sfondi violetti troppo spesso messi a mascherare la pochezza delle opere esposte. Al Castello quanto é stato convogliato per far intendere la grandezza, la cultura e i rapporti del Bramantino, si disponeva in chiaro percorso, vigilato nella Sala del Tesoro dal suo affresco con la figura di Argo, virilmente baldanzoso e orgogliosamente sfidante, illustrando una vicenda artistica portata a livelli quasi temerari di forza figurativa e di complicatezza.

Bramantino a Milano, una mostra indimenticabileBramantino a Milano, una
mostra indimenticabile

Personalità per certi versi ancora misteriosa quella del "magistro" Bartolomeo Suardi, già nel 1489 conosciuto col soprannome di Bramantino: non si sa quando esattamente sia nato a Bergamo e v'é qualche incertezza sulla cronologia delle non molte sue opere, incertezza che i tre studiosi, giovandosi anche degli illuminanti approfondimenti di Giovanni Romano e delle ricerche di alcuni giovani di fresca laurea, hanno risolto in modo persuasivo, rimarcando anche le committenze, il più delle volte di alto rango a confermare il prestigio raggiunto dall'artista: oltre a Ludovico il Moro, Louis de Luxenbourg, conte di Ligny, per cui il Suardi approntò la decorazione di almeno due sale del castello di Voghera, e Gian Giacomo Trivulzio detto il Magno. Fu lui a dare incarico al Bramantino di creare i cartoni per gli arazzi dei Mesi a celebrazione del matrimonio fra il figlio Gian Nicolò ed una Gonzaga nipote del committente della Camera degli Sposi. Nelle ottanta pagine che compongono la scheda in catalogo a firma di Agosti e Stoppa si coglie tutta l'importanza di questa impresa dove l'artista "grazie alle invenzioni fuori del comune…riesce a sfuggire all'inerzia iconografica e a riformulare le immagini dei mesi, quali erano apparsi nella tradizione tardo antica e medioevale, con una miscela inedita di osservazioni realistiche e di sacralità".

Straordinari, eccelsi – aggettivi usurati, ma qui d'obbligo – tutti i dipinti riuniti; peccato solo che mancasse il Compianto del Museo di Bucarest ambientato tra cieli azzurri di Aide zeffirelliane e un "assemblamento urbanistico [che] incombe con la forza di un incubo". Provenienti dall'Ambrosiana apparivano brani di pittura eccelsa e insinuante l'Adorazione del Bambino, lui affacendato col ditino in bocca mentre un eterogeneo consesso di astanti, ciascuno con la propria devozione o contemplazione, si schiera davanti ad un arco suggestionato dall'incisione Prevedari da Bramante, e il Compianto, giunto mutilo eppur ancora capace di far intendere tutti i virtuosismi di cui era perito il Bramantino per risolvere ardite prospettive. E già Vasari aveva rimarcato siffatte capacità: "ho veduto un Cristo morto fatto da lui in iscorto, nel quale ancora che tutta la pittura non sia più che un braccio di altezza, egli nientedimanco nella brevità dello spazio ha voluto mostrare la lunghezza dell'impossibile con la facilità e virtù dell'ingegno suo". Ma, sotto questo aspetto, il meglio non era lì; era nel Trittico di San Michele con le figure "in scurto" dell'eresiarca Ario, dipinto tutto nudo e inerte, e di un enorme rospo-Lucifero, disposte ai piedi rispettivamente di Sant'Ambrogio e dell'arcangelo

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Michele che li avevano vinti.

Certo la prospettiva, ma la grandezza del Bramantino, stimato anche a Roma da Giulio II (che però fece distruggere i suoi interventi per lasciar spazio al solo Raffaello nello Stanza di Eliodoro), non sta solo in essa e allora ci si poteva commuovere nelle sale del Castello vedendo gli apostoli stretti l'un l'altro nella Pentecoste di Mezzana, uomini pieni di energia e di nobile, severa dignità, che si volgono a noi per farci partecipi della loro fierezza e della loro consapevolezza. Altro colpo d'ala che incantava la Vergine con il Bambino e due angeli – angeli sì, eppure senza ali – ora a Brera, proveniente forse dal palazzo del Carmagnola, attuale sede del Piccolo Teatro, proprio una donna lombarda, prospera eppur dolcissima, in posa statuaria, pronta a diventare riferimento insopprimibile per Gaudenzio Ferrari, un altro dei grandi del primo Cinquecento di cui diventa pressante una mostra sempre forgiata dalle competenze di Giovanni Romano e dell'operosa fucina della Statale milanese.

Emozionante, a conclusione del percorso, il San Sebastiano – invidiatisssimo il collezionista milanese che lo possiede – "in balia di turbamenti fra le edere del sottobosco", tutto percorso da un fremito struggente, dove Bartolomeo Suardi medita non solo sull'amato Bramante ma anche su Leonardo e Giorgione, alla fine creando un capolavoro inconfondibilmente suo, sigillo prezioso e dovizioso di tutta la sua arte privilegiata, apprezzata ai suoi dì da chi se ne intendeva e anche nei secoli seguenti. Fino a noi.