di FILIPPO BRUSA

Renato Guttuso ha tracciato la linea del realismo italiano, pennellando, con la sua calda mano mediterranea, corpi di braccianti in lotta e camice rosse garibaldine, masse di contadini, intenti a occupare le terre, e comizi di quartiere. Una chiara vocazione politica e una marcata impostazione ideologica connotano il Maestro di Bagheria, comunista, senatore della Repubblica dal 1976 al 1979 e autore del quadro-manifesto della sinistra italiana del secondo Novecento: i «Funerali di Togliatti».

Renato Guttuso
Funerali di Togliatti, 1972
tecnica mista su tavola
Collezione permanente MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Provenienza: Associazione Enrico Berlinguer (deposito permanente)
Foto: Matteo Monti, courtesy Istituzione Bologna Musei | MAMbo

PROSPETTIVA E ANACRONISMO

L’opera, profondamente corale, realizzata con tecnica mista su tavola nel 1972, per rendere omaggio al capo indiscusso del Pci, scomparso nel 1964, è custodita al Museo d’Arte Moderna di Bologna, nella sezione della collezione permanente denominata «Arte e ideologia». Il funerale, che si era svolto a Roma (a sinistra spicca il Colosseo, simbolo della città), è fuori dal tempo, immortalato iconicamente e narrato con evidente sfalsamento degli spazi e della prospettiva. Al centro, il cielo è infiammato, sulla destra, Renato Guttuso si autoritrae con il pugno alzato, mentre le bandiere, senza vento, assumono un ritmo astratto ma mantengono il colore rosso acceso, contrapponendosi, con forza, ai grigi e ai bianchi sui volti dei partecipanti: donne, uomini, contadini, operai, impiegati, emigrati, studenti, intellettuali, e tutte le personalità che hanno reso grande il movimento comunista, mescolate le une accanto alle altre in un abbraccio tra generazioni. Suggestivo anacronismo giustificato dalla certezza che le idee superano la morte e gli ideali sopravvivono agli uomini.

PATHOS E TECNICA LIBERA

Lo storico dell’arte Piergiovanni Castagnoli bollò l’opera come «una pura prestazione professionale in obbedienza al partito» salvo poi ricredersi e definire questo quadro manifesto «un dipinto dove c’è partecipazione affettiva, un pathos non dimostrabile in una formula, una regia sapiente, delle figure emblematiche – a partire da Lenin – che tornano come un’ossessione inserite in una tecnica libera capace di abbracciare il collage e il disegno a matita, in una sapiente costruzione dello spazio che si lascia guardare a lungo».