Omar BarghoutiOmar Barghouti

Il tema è di quelli forti, “arte e oppressione”, soprattutto se l'ospite e il testimone principale dell'incontro, Omar Barghouti, è un coreografo palestinese. Che conduce tenacemente il suo lavoro lì, in Palestina, all'interno di una situazione di palese oppressione.

Organizzato dall'Arci varesina, si è tenuto in una sala defilata, la Sala Bramante, del Collegio De Filippi di Varese. Piena, per l'occasione, di artisti, poeti, intellettuali, semplici cittadini richiamati da una voce palestinese che è suonata in effetti forte, lucida, intransigente.

A introdurre la tavola rotonda, moderata da Alberto Tognola, è stato uno spettacolo di burattini messo in scena da Bruno Leone che ha affrontato il conflitto israelo-palestinese con la sintesi narrativa e la sublimazione simbolica propria del teatro di figura, con il finale che issava una bandiera sola per i due popoli, dopo le botte – anche spassose – che si sono date.

Alberto TognolaAlberto Tognola

Il clima è cambiato con la testimonianza di Omar Barghouti, il cui intervento in inglese, tradotto in simultanea, è stato un'analisi serrata delle tipologie possibili di “arte dell'oppresso”.

Il coreografo ha raccontato innanzitutto la “coreografia” delle granate che colpirono la sua casa, lasciando illesa la sua famiglia e rafforzandogli il dovere di resistere e sfidare l'arroganza di Israele. Le parole incredibilmente calme di Barghouti hanno sfatato molto miti dell'occidente, ad esempio i casi di “gemellaggi” artistici fra palestinesi e israeliani, da ripudiare fermamente secondo il coreografo in quanto ipocriti e vissuti senza mettere in discussione lo statu quo dell'occupazione israeliana.

Così come Barghouti non ha risparmiato critiche all'oppresso vittimista o all'oppresso disposto a rinunciare alla propria identità per farsi accettare e integrare. La sua proposta è quella di un'arte evolutiva dell'oppresso, in grado di tener fede alle proprie radici e di non scendere a patti con l'oppressore, a costo di durissime privazioni, che lui e altri come lui hanno vissuto e continuano a vivere nella loro condizione di artisti oppressi.

Alberto Tognola ha quindi invitato i presenti, artisti e non, a intervenire nel dibattito, non prima di avere ricordato due casi emblematici di artisti testimoni dell'oppressione: Goya con i dipinti e le incisioni ispirate dall'occupazione napoleonica della Spagna, Picasso con Guernica, opera simbolo della “resistenza” dell'arte alla barbarie.

Mentre i poeti interpellati hanno preso l'occasione per leggere una loro poesia dedicata alla Palestina, tra gli artisti visivi Mariuccia Secol ha ricordato le sue battaglie per la causa femminista, mentre Sandro Sardella ha ringraziato l'ospite per la tensione civile e intellettuale che è riuscito a comunicare.

Aldo AmbrosiniAldo Ambrosini

Aldo Ambrosini, per contro, ha giustificato la sua presenza come atto di sensibilità civile, rammentando, da artista, l'oppressione costituita dal mercato. Il tema è di quelli pesanti, sui quali è davvero difficile intervenire senza ulteriormente fomentare l'odio fra le parti.

Agli artisti varesini si è consegnato lo stimolo di fare qualcosa di concreto, se non per la Palestina – lontana e spesso dai media travisata – per la città di Varese, un po' una “bella addormentata”. Barghouti, da parte sua, ha chiesto cose molto precise: boicottare Israele (così com'è avvenuto per il Sudafrica dell'Apartheid), mostrare la cultura palestinese al di là della rappresentazione mediatica, non simpatia ma solidarietà. Una vera scossa, per la coscienza artistica contemporanea di Varese e dell'occidente.