L'espressione "porgere l'orecchio" equivale – nelle perifrasi correnti – a "porgere attenzione", "prestar cura", indica la saggezza dell'ascolto interiore, l'equilibrio.
Secondo il sapere alchemico e mistico: "Il sentimento del cosmo comunica con l'udito". In Cina, i saggi sono rappresentati con orecchie lunghe, segno di saggezza e immortalità, lo stesso Lao Tzu viene chiamato 'grandi orecchie', e in Africa ci si fora i lobi, appendendo ad essi dei pesi, con lo stesso scopo. San Paolo dice che la fede arriva all'uomo attraverso l'udito "fides ex auditu". E nel sufismo islamico all'orecchio spetta l'ascolto mistico, quello del cuore (sam).

Non possono che rivestire e suscitare grande attenzione tutte queste considerazioni agli occhi – e alle orecchie – degli artisti.
Per Adolfo Wildt (Milano 1868 – 1931),
che per la sua abilità nell'interpretare l'anatomia auricolare era soprannominato l'oregiatt, il soggetto anatomico era particolarmente congeniale. Addirittura, secondo l'artista, ogni frammento del corpo poteva esprimere un "sentimento".

Così, la vista incontra l'udito nel palazzo storico di via Serbelloni a Milano; qui infatti si può vedere bene, sul lato destro dell'ingresso al numero 10, un grande orecchio di bronzo, con tanto di padiglione auricolare e condotto uditivo esterno, alto più di una spalla.

L'orecchio di WildtL'orecchio di Wildt

Oggi non è più in uso, ma all' epoca fu concepito a mo' di citofono (uno dei primi della storia) e perciò affidato alle mani di uno scultore rinomato, che potesse degnamente sottolineare il valore della novità.
Incastonato nella costruzione liberty di Palazzo Sola-Busca, ribattezzato popolarmente – proprio in virtù del solenne padiglione – "Ca' de l'oreggia", il rilievo porta dunque la firma di un maestro dell'epoca come Wildt.
È il primo vero citofono di Milano, che presta attenzione alle voci.

La comunicazione è innanzitutto ascolto. In India si dice che il saggio riesce a udire "i suoni inaudibili", riflessi della vibrazione primordiale, come i mantra, o i suoni dell'alfabeto sanscrito, che tentano di riprodurre il 'verbo' che consentì l'origine del mondo. Il Tao parla della misteriosa "luce auricolare".

L'artista australiano Stelarc, pseudonimo di Stelios Arkadiou (Limassol, 1964), ha destato scandalo per gli interventi sul proprio corpo per fini artistici, con accentuati caratteri esibizionistici e spettacolari e nei quali la carne viene contaminata con l'automazione robotica.

Ha destato, più di tutti, sconcerto l'operazione che gli ha consentito di farsi impiantare un orecchio nell'avambraccio.
L'ennesima violenza, l'ennesima forzatura di un concettismo freddo, materialista, ancorato a solo ciò che si vede. E, dunque, inutile.
L'ennesima stortura di una Body-Art diventata feticcio di se stessa, parossismo disgustoso e vacuo.
"E' un lavoro in corso – ha dichiarato l'artista nel corso di un'intervista – Penso che le idee che coinvolgono il corpo in preoccupazioni sciamanistiche, religiose o culturali siano interessanti ma del tutto fuori moda in una costruzione metafisica. Quello che abbiamo è solo un corpo fisico che è obsoleto, vuoto. Questo è tutto quello che hai, quello che vedi".

Più semplice – e più illuminante – sembra essere la filastrocca di Gianni Rodari

L'orecchio acerbo
Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo
Vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.
Non era tanto giovane, anzi era maturato,
tutto, tranne l'orecchio, che acerbo era restato.
Cambiai subito posto per essergli vicino
E poter osservare il fenomeno per benino.
"Signore, – gli dissi – dunque lei ha una certa età:
di quell'orecchio verde che cosa se ne fa"?
Rispose gentilmente: " Dica pure che son vecchio.
Di giovane mi è rimasto soltanto quest'orecchio.
E' un orecchio bambino, mi serve per capire
Le cose che i grandi non stanno mai a sentire:
ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,
le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,
capisco anche i bambini quando dicono cose
che a un orecchio maturo sembrano misteriose".
Così disse il signore con un orecchio acerbo
Quel giorno sul diretto Capranica – Viterbo.