Ad Arnaldo Pomodoro, proprio in occasione dei suoi novant'anni, Milano ha dedicato, a cura di Ada Masoero, incontri e mostre che si sono conclusi il 5 febbraio e che hanno coinvolto Palazzo Reale (in piazzetta l'esposizione del complesso scultoreo The Pietrarubbia Group e all'interno nella sala delle Cariatidi, una retrospettiva con 30 opere), la Triennale (con quattro progetti: il Carapace, Moto terreno solare, il monumento di Pietrarubbia e il progetto mai realizzato del Cimitero di Urbino) e il Museo Poldi Pezzoli (con 16 modellini scenici per il teatro).
Ma, per fortuna, di questo prolifico artista, restano numerose opere pubbliche che possono essere continuamente ammirate nelle piazze delle più importanti città del mondo (Roma, Copenaghen, Brisbane, Los Angeles, Darmstadt, Dublino, New York, ecc.) e naturalmente anche a Milano (ne accenniamo più avanti), ma anche nell'hinterland come ad esempio il monumento ai Caduti della Resistenza a Gallarate.
Il successo internazionale di Pomodoro
La grandezza di Pomodoro è che anche le persone che seguono poco l'arte riconoscono al volo le sue opere. Il suo stile inconfondibile – fatto di segni, nodi, fili, grovigli come una scrittura arcaica indecifrabile, che diventano "tagli d'infinito" -, il suo linguaggio che richiama a una vita cosmica segreta, a ingranaggi, meccanismi tra il geologico e il biologico – pieno di fermenti e vitalità compressa, nella bellezza lucente del bronzo – sono immediatamente riconoscibili.
Sfere rotanti, ruote, cippi, battaglie, che lo spettatore accoglie dapprima con uno sguardo d'insieme ma che richiedono poi sempre un approfondimento, un'umile, lenta, pensata attenzione ai singoli dettagli per scoprirne il senso nascosto, trovare il bandolo della sua decifrazione, o anche arrendersi (ma è una resa ricca di emozioni) di fronte all'ambiguità di un messaggio che ha il pregio di farsi fortemente coinvolgente.

Due grandi vecchi insieme, Dorfles e Pomodoro alla Triennale
Non capita spesso di trovarsi di fronte a due tra gli esponenti più significativi dell'arte italiana, a due grandi vecchi come Gillo Dorfles, quasi 107 anni, e, appunto, Arnaldo Pomodoro, 90 anni, giovanissimi quanto a spirito e mente, che dialogano del loro passato e delle loro passioni, con il distacco, la modestia e anche l'ironia di chi può ormai permetterselo.
Li ho incontrati alla Triennale nella terza conferenza dedicata all'artista, nato a Montefeltro ma milanese di adozione, dove vive dal 1954; insieme a loro, l'architetto Alberto Ferlenga per riflettere sui legami che uniscono scultura e architettura in Pomodoro.
Dorfles ricorda gli esordi di Pomodoro disegnatore di gioielli e come fin da quell'epoca fossero presenti nei suoi lavori le caratteristiche del suo particolare stile espressivo. E lui conferma la circostanza: la sua prima mostra fu proprio alla Triennale con alcune sue opere, anelli, gioielli e un piatto, di cui, tra l'altro, si sarebbero perse le tracce.
Quali sono i confini tra architettura e scultura?
E' la domanda che si pone l'architetto Ferlenga per cercare di spiegare l'evoluzione di Pomodoro scultore verso questa disciplina. I confini tra queste due discipline non sono così definiti come potrebbe sembrare. E, d'altra parte, molti artisti pare abbiano difficoltà a dialogare tra loro per una sorta di "autismo" (forse, gelosia?) che li relega ognuno nei propri ambiti operativi. Secondo Ferlenga, l'architettura è un'arte debole senza uno spessore teorico forte e che, quindi, abbisogna dell'apporto di altre discipline.
Quando capita che l'architetto acquisti una sua propria personalità, i suoi lavori, gli edifici che realizza, molto spesso diventano sculture, grandi oggetti chiusi in sé (cattedrali nel deserto), incapaci di includere la vita che scorre intorno, di creare il legame tra i luoghi vicini (si nota quella che i tecnici chiamano la mancanza di "in-between", collegamenti tra spazi ed entità diverse). Ciò, evidentemente, anche a causa dei tempi lunghi richiesti dalla progettazione e dalla realizzazione del manufatto, che non può tenere conto delle trasformazioni sociali che nel frattempo sono intervenute.
Altro limite degli architetti è l'obbligo, l'ossessione quasi, dell'iperfinito, l'incapacità, la paura di rompere "la levigatezza delle convenzioni". Il non finito, il "difetto di fabbrica" sono ipotesi inammissibili per la "forma mentis" di un architetto, eppure, spesso, è solo da lì che si creano quelle aperture, quelle rotture, quegli squarci che permettono il dialogo con i luoghi e le persone che ci vivono dentro e intorno.
Come è nata l'idea del Carapace ?
Nel "Carapace", la costruzione che Pomodoro ha ideato per una grande cantina delle tenute Lunelli a Bevagna, questo miracolo si compie. L'artista, con la sua sensibilità ha saputo creare una architettura che, pur assolvendo agli obblighi funzionali che le sono propri (uno spazio di produzione e presentazione di prodotti enologici), mantiene un'autonoma indipendenza, valorizzando in modo creativo gli aspetti zoomorfici che l'hanno ispirata.
Come gli è nata l'idea? Pomodoro risponde con semplicità. Non ha programmato nulla. Prima è stato un po' di tempo in quelle zone. Ha respirato le atmosfere di quegli ambienti naturali (lui dice testualmente "mi sono impossessato del luogo"), e l'idea gli è arrivata dopo, semplicemente vedendo una tartaruga e la sua corazza robusta.
Poi, ha aspettato che tale idea lavorasse al suo interno. Visto che per lui è anche fondamentale dare ascolto ai sogni. Nel dormiveglia, lo dice lui stesso, "la testa lavora molto". Anche Dorfles conferma questo meccanismo creativo che crea un equilibrio fruttuoso tra parte razionale e parte irrazionale. Alla fine, conclude Pomodoro, ho rischiato. Un rischio che, forse, gli architetti "puri" non amano correre.
Pomodoro è un artista eclettico. Questa è la sua peculiare caratteristica. Si può insegnare la sua tecnica – e lui ha avuto molti allievi – ma non il suo talento. Perché è una commistione di personalità, sensibilità, capacità di sapersi fare ispirare da ogni cosa, perché, come dice lo stesso Maestro, "bisogna imparare a scoprire la bellezza ovunque si trovi".
Le opere di pomodoro visitabili a Milano
Le opere di Pomodoro esposte in luoghi pubblici a Milano sono molte. Qui suggeriamo un piccolo itinerario che può partire dal Museo Poldi Pezzoli, via Manzoni 12 (Sala d'Armi 2000), passando per le Gallerie d'Italia, piazza Scala con il Disco in forma di rosa del deserto (1993/94), per piazza Meda, Grande disco (1972) e la Sede della Banca Popolare di Milano, Movimento (1970/71).
Altri luoghi che conservano opere di Pomodoro sono: il Conservatorio "Giuseppe Verdi", in via Conservatorio 12, Lancia di luce (1985), la Sede Assimpredil Ance di via San Maurilio, Grande bassorilievo (1979/80), lo spazio antistante il Piccolo Teatro, Largo Greppi, Torre a spirale (1985/94), il Museo della Scienza e della Tecnica, via San Vittore 21, La storia del rame (1958), in via Solari, l'edificio ex Riva-Calzoni, dove è esposta l'opera Ingresso nel labirinto (1995-2011), per finire con la sede Mondadori di Segrate, Colonna a grandi fogli (1972/75). Un'occasione per vedere e apprezzare la Milano di Pomodoro.