Mendrisio – E così anche  nella vicina Svizzera riparte, negli spazi severi del Museo d’Arte squaderna una delle sue mostre mai banali. Questa volta la riserva a André Derain sperimentatore controcorrente, artista che non si sottrasse mai alle molteplici possibilità della sua immaginazione e amico pressochè di tutti quelli che fecero l’avanguardia dei primi decenni

L’Estaque, 1906

del Novecento, spesso al loro fianco, a partire da Matisse con cui condivise gli anni accesi deifervori fauves .

Lui, Derain (Chatou, 1880-Chambourcy, 1954), fu artista a 360 gradi: pittore, scultore, ceramista, fotografo, illustratore di raffinatissimi libri, disegnatore di scene e costumi, fin attore (un piccolo ruolo, ma in un film di Renoir). Insomma una forza della natura dentro una stazza imponente – vedere sul catalogo la sua foto travestito da Re Sole per credere – spenta da una banale utilitaria (non una Bugatti come la sua) che lo investì poco distante dalla villa di Chambourcy.
Nel giro di poco più di cinquant’anni quanto seppe dare all’arte Derain! E sempre abitando la battaglia, prima con gli avanguardisti e poi, dopo la prima guerra vissuta al fronte, preso dall’esigenza di tornare all’ordine e alle belle forme, con la consapevolezza però di dare a quell’ “ordine” e a quelle forme un senso e un volto nuovo e di “dipingere oggi per ritrovare i segreti perduti”, come scrisse, assolutamente in coerenza col suo modo di dipingere e di sentire diventato indipendente e solitario. Pochi infatti a quel punto lo capirono, ma tra loro Giacometti e Balthus che nel 1936 gli fece uno strepitoso ritratto ora al MOMA di New York.
Girando per le stanze del Museo – la mostra resterà aperta fino al 31 gennaio 2021 – si resta colpiti dal fare dell’artista, sempre energico e vitalistico, sia che esso ci attragga, sia che ci lasci perplessi perché d’acchito non riusciamo a capire come e perché si possa cambiare, anche radicalmente, e passare dall’esplosione di colore dei fauves o dalle forme solide proposte da Picasso e dall’amico Braque alla pittura “gotica” dell’impressionante ritratto che fece del pittore basco Francisco Iturrino (1914), e poi ai torniti nudi muliebri, dove tornano i concerti campestri del Rinascimento e i déjeuners di tutto l’Ottocento francese, ma dipinti con

Le déjournes sur l’herbe, 1938

la consapevolezza che quella è pittura trascorsa e l’oggi è tremendamente diverso . In questo assiduo lavorio di ricerca, in questo passare dalla luce alle tenebre s’avverte tutta la sofferta solitudine e l’isolamento pesante di Derain palesati in

Paysage triste, 1950c.

paesaggi tristi e sinistri, presaghi quasi dei giorni del nostro lockdown, nei ritratti femminili di concreta realtà, così vicini, così lontani da quelli dei nostri Funi, Carrà, Marussig, Marchig, e nelle nature morte stagliate sul fondo scuro “in straniante e atemporale atmosfera luminosa”, come scrivono Francesco Poli e Simone Soldini sul catalogo.
Un artista tanto curioso e onnivoro non poteva nemmeno mancare l’esperienza di scenografo e costumista, ma, in questo campo fece anche di più, giacché si occupò di libretti, di scelta di musiche, a contatto stretto con i compositori Ravel e Satie, altro suo grande amico, e i coreografi Massine, Balanchine e Roland Petit. Incominciò nel 1919, chiamato dal mitico Diaghilev dei Ballets Russes per la Boutique Fantasque di Respighi; finì disegnando scene e costumi per il Ratto dal serraglio (1951) di

Scena per il “Barbiere di Siviglia”, 1953

Mozart e per il Barbiere di Siviglia (1953) di Rossini, due spettacoli del Festival di Aix en Provence entrati nella leggenda non solo per direttori e cast, ma anche per le spiritose, azzeccatissime proposte di quel vero artista che fu André Derain.

 

Giuseppe Pacciarotti