Nella scorsa edizione vi avevamo già parlato dell'opera di Sergio Vanni, in corso a Daverio fino a gennaio. Ci siamo ritornati, accolti dalla raffinatezza di Monica Morotti, per un incontro proprio con l'artista. 

Davanti alle sue opere, immersi nell'eleganza fuori dal tempo della villa settecentesca, Vanni si racconta, dalle sue prime esperienze nella ricerca di giochi linguistici e poesia visiva, fino ad arrivare alle parodie sulle opere d'arte più famose, anticipandoci anche le sue prossime realizzazioni: "Mi servo dell'immagine per poi aggiungere un elemento linguistico che determina il gioco della parodia", parodia che nasce per smorzare il mondo dell'arte, ingessato e criptico, fine a se stesso. 

Un tentativo che lo dissacra "benevolmente", dando dell'arte una visione diversa da quella consueta, cancellando quella patina di seriosità che molto spesso si ritrova.

Sulle pareti scorrono i capitoli della storia dell'arte, immagini, alcune famosissime, altre note a molti, qualcuna familiare magari per gli addetti ai lavori. Troviamo il taglio di Fontana come Il grido di Munch, L'ultima cena di Leonardo come il barattolo di zuppa Campbell di Warhol, e così via. 

Non c'è bisogno di una didascalia scientifica per capire, basta una scritta, in caratteri grandi o minuscoli, che ne ironizza il contenuto.

"Manzoni, parlo di Piero naturalmente, ci ha lasciato una frase tanto bella quanto giusta nella sua essenzialità: Non c'è nulla da dire. C'è solo da essere, c'è solo da vivere. A Piero ho rubato tante immagini per le mie parodie, non me ne vorrà se gli rubo anche le parole, queste parole, che restituisco, è naturale, attraverso una parodia che chiude la mia breve nota: Non c'è nulla da dire. C'è solo da guardare, c'è solo da ridere".