Celestino VCelestino V

"Quando un monumento, come il San Fedele di Como, presenta una storia tanto importante, è comprensibile che taluni suoi aspetti restino in lista d'attesa e si rivelino soltanto dopo che i nodi più complessi sono stati già sciolti". In questo modo lo storico dell'arte Carlo Bertelli esordiva nel suo saggio per la rivista Paragone, aprendo con rinnovata curiosità gli studi incentrati sulla decorazione a vetro e a oro graffito che gira intorno alla facciata anteriore dell'arca del martire Fedele, probabilmente l'unico esempio rimastoci, in Lombardia, di vetri figurati inseriti in un'architettura.

L'arca non era di certo un monumento secondario, e una lunga iscrizione scolpita in caratteri gotici ricorda ancora la sua costruzione, il 4 giugno 1365, ad opera del vescovo comasco Stefano Gatti. Originariamente l'arca di marmo bianco sorgeva dietro l'altare mentre l'attuale posizione, al centro del presbiterio, è il frutto dei vari spostamenti tra il XVII e il XIX secolo. Inevitabilmente durante questi cambiamenti l'originaria decorazione trecentesca subì delle manomissioni tanto che fu deciso un restauro nei primi anni del Novecento per sostituire i vetri andati inesorabilmente perduti. Il fregio di placchette vitree reca ritratti di santi, martiri e papi. Sulla banda sinistra della cornice di particolare interesse è una placchetta rettangolare spartita in tre zone con al centro, in un polibolo, recante il mezzo busto di Celestino V, tra due foglie increspate d'oro su sfondo rosso e oltremare. La figura si inclina leggermente sul dorso, la sinistra tiene energicamente il libro stretto al petto, lo sguardo vivo e intenso, la mitra e le chiroteche collocati in alto, simboli del "gran rifiuto". Sappiamo che il papa nel 1278 passando per Como acquistò l'oratorio dedicato a Maria Annunciata (eretto nel 1236 da Erasmo Capacci, canonico di San Fedele, nel luogo ove ora sorge il santuario del SS. Sacramento) con le case adiacenti, e vi eresse un convento di monaci da lui fondato, detto dei Celestini.

Gli altri vetri trecenteschi si trovano nella fascia

San Giovanni EvangelistaSan Giovanni Evangelista

orizzontale superiore e rappresentano San Biagio, S. Ambrogio, Santo Stefano, San Pancrazio, San Girolamo e San Giovanni Evangelista. Tutti fuorché quest'ultimo hanno una raffinata iscrizione all'interno della cornice; inoltre per l'atteggiamento addolorato, fanno pensare che non fosse questa la sua collocazione originaria, bensì risulta più probabile che facesse parte di una piccola Crocifissione. Tale posa potrebbe derivare dal bassorilievo raffigurante il Cristo crocifisso affiancato dalle figure dolenti di Maria e Giovanni del paliotto d'altare della Chiesa di San Giorgio in Como, opera ancora largamente memore del retaggio altomedievale, ancorché rivestita di forme proto gotiche, da ritenersi dell'ultimo scorcio del secolo XIII.

Lo stile in cui queste piastrine si svelano ai nostri occhi è ricercatissimo. I volumi dei panneggi, le fisionomie, gli incarnati, sono realizzate con un chiaro-scuro formato da sottili linee di media lunghezza parallele o incrociate, su sfondo dorato. Per l'acutezza di sguardi, il chiaroscuro avvolgente e la vivacità di gesti ci riportano all'ambito bolognese, ma con un grado maggiore di finezza ed eleganza, con un altro senso del reale e dello spazio, che rendono questo piccolo gruppo di vetri a oro il più prezioso e antico esempio datato in Lombardia. Nel loro elegante andamento lineare questi vetri fan pensare a dei nielli, tanto da potersi accostare a modelli oltremontani che, sappiamo, erano ben apprezzati.

Riferimenti fotografici: Archivio Prepositurale di San Fedele, Como