Inutile negarlo. Edgardo Franzosini è uno scrittore “sui generis”. E’ uno che si lascia sedurre dai personaggi più strani e ambigui. Più sono eccentrici, fuori dagli schemi più ne rimane affascinato. E non importa se gli elementi che raccoglie sulle loro vite disordinate sono in parte veri, in parte frutto di fantasie, invenzioni, immaginazioni, turbamenti personali, incubi persino.

A lui piace costruire intorno ai personaggi che cadono nella sua rete di ragno, delle atmosfere, come un moderno medium che vuole stupire i clienti raccolti attorno al tavolino traballante di una seduta spiritica. E usa le armi giuste, per far apparire fantasmi, aleggiare immagini e situazioni ambigue, suscitare  presenze inquietanti, figure appena intraviste, ombre. E in questo sulfureo ambiente non nasconde un certo ironico ammiccamento, un’alzata di sopracciglia furbesca.

Puntualmente questo si ripete nella sua ultima fatica, il libro “Rimbaud e la vedova”, Skira editore, dedicato appunto ad Arthur Rimbaud, poeta veggente, autore di  “Vocali”, “Il Battello ebbro” e “Una stagione all’inferno”. Ma del poeta a Franzosini interessa in particolare un suo viaggio a Milano nel 1875, dove sembra sia stato ospitato per poco tempo da una vedova che abitava in una casa di fronte a piazza Duomo.

Quale migliore occasione per raccontare con qualche brillante pennellata la Milano di quegli anni? Hans Tuzzi ha nelle sue corde la capacità di rievocare con sapida arguzia certe storie e la fa da par suo nella presentazione del volume che si è tenuta al Circolo dei Lettori in Casa Manzoni. Milano in quegli anni è una città in trasformazione, che sta diventando italiana da asburgica che era. Era morto da poco Manzoni, l’anno prima anche Rovani, l’autore dei “Cento anni”, se n’era andato e a dicembre pure lo scapigliato Praga lascerà questo mondo.

Insomma, siamo verso la fine di un’epoca, e Giovanni Verga, siciliano, scrive a Capuana tessendo le lodi di una città che definisce “bella”, sotto le fredde lune d’acciaio di Natale. Ci sono ancora i Navigli. Dove oggi c’è la Biblioteca Sormani c’è un mulino. In piazza Duomo, proprio vicino alla cattedrale, si trovano, ancora per poco, le case del Rebecchino, un intrico di vie strette, fatiscente e maleodorante, dove prospera la malavita. Verranno abbattute pochi mesi dopo la partenza di Rimbaud. E Rimbaud, poeta che si nutre di ombre e di silenzio, dopo l’incontro con la misteriosa vedova, deciderà di rinunciare per sempre alla poesia, trasformandosi in “qualcuno che era stato lui, ma non lo era più, in nessun modo” (parole di Mallarmé).

Non aspettatevi di capirne il motivo perché Franzosini non ce lo dice. Non ce lo fa nemmeno intuire anche se è abile a mettere uno dietro l’altro diversi fatti strani, diverse coincidenze improbabili. Ma anche senza documenti se non vaghe tracce, la sua ricostruzione risulta  egualmente avvincente. Comunque sia, Rimbaud resta un personaggio strano. Ce lo conferma anche il poeta Valerio Magrelli che ha dato un contributo prezioso alla presentazione del libro di Franzosini.

Arthur Rimbaud nel 1871 ~ foto di E. Carjat

Rimbaud è un latinista abilissimo, come il Pascoli, suo coetaneo, non ama per nulla la pittura (per lui il Louvre avrebbe anche potuto essere bruciato all’epoca della Comune per “mettere l’umanità di fronte al suo nefasto orgoglio”), è un lettore accanito (falsifica la sua data di nascita per poter frequentare le biblioteche) e soprattutto un grande camminatore, un romantico “wanderer”.

A Milano sembra che ci sia arrivato dalla Francia a piedi. Gira sempre senza cappello e, ironia della sorte, per uno come lui che ha camminato in lungo e in largo per l’Africa, si beccherà un’insolazione andando da Siena a Livorno. E finirà in ospedale. Altri fatti strani costellano l’aneddotica di Rimbaud. Quando morì, la madre volle essere calata nella fossa per controllare direttamente la sepoltura. Una madre alquanto invadente, che si definiva vedova anche se il padre era vivo e vegeto a Digione e per par condicio, a sua volta, amava definirsi vedovo.

Che la vedova che trova a Milano, alla fine, sia proprio la madre? Non vogliamo svelarvi nulla. Certo Rimbaud, ma anche le persone che gli ruotano attorno, sono personaggi ambigui, inafferrabili. Ma la scoperta più sconvolgente la rivela proprio Magrelli quando dice che lo scrittore americano David Morell che ha inventato il personaggio di Rambo, nei film interpretati da Sylvester Stallone, si sia ispirato proprio alla figura di Rimbaud (assonanza del nome a parte), un uomo sradicato, incapace di adeguarsi alla vita normale. Anche se c’è chi continua a credere che il nome Rambo derivi da un tipo di mela della Pennsylvania.

Con conferme, smentite, illazioni, ipotesi, Franzosini  va a nozze. Se lo si definisce scrittore di personaggi non funzionali o detective folle non si offende. Pontiggia che lo ha conosciuto l’aveva definito l’impiegato dell’assurdo. Certo, come diceva Sciascia, le uniche cose sicure a questo mondo sono le coincidenze. E Franzosini in esse ci sguazza, e ne descrive molte comprese quelle che lo hanno spinto a scrivere il suo libro, alcune persino incredibili, compreso uno scivolone premonitore in via Rastrelli con annessa slogatura del ginocchio.

Rimbaud e la vedova, Edgardo Franzosini, brossura, 96 pag. € 12,90

 

Ugo Perugini