Giovanni Testori 1970-1971Giovanni Testori 1970-1971

Nel nome e nel ricordo di Testori. Aleggia, comunque si parli di Varlin, l'anacoreta di Bondo, il pittore anarchico, sublime, misconosciuto ai più, eppure grandissimo nella figurazione europea del Novecento, l'ombra lunga dello scrittore, critico, drammaturgo di Novate, il suo demiurgo, quanto meno in Italia, colui che ne ha scritto, il primo e forse già definitivo profilo critico già nel 1976.

La mostra che si apre a Legnano, al Palazzo Leone da Perego, è la più ampia mai dedicata in Italia all'artista zurighese. Quella con il catalogo più completo. Esiste un catalogo ragionato delle opere di Varlin, curato dall'Archivio che da lui ha preso il nome e affidato alle mani della figlia Patrizia, ma solo in tedesco. Per la prima volta, in italiano le opere esposte sono qui provviste di schede critiche e bibliografiche.

Ma su tutto domina, appunto, la lettura testoriana, a partire da quel testo bruciante, borromaico, quasi apocalittico, intitolato L'ironia, la cenere, il niente – va da sè lo stesso titolo dato alla mostra odierna – che apriva la mostra del 1976 alla Rotonda della Besana. Lo stesso Testori campeggia poi in copertina: gli occhi cerulei eppure infuocati, uno dei tanti ritratti che Varlin gli fece, con pennellate scarne e forti, una croce baluginante in alto a destra, come una drammatica didascalia del personaggio.

Conferenza stampaConferenza stampa

Mostra superba, questa di Legnano. Che spazia dai primordi di Varlin ventenne alle prese con i primi ritratti di un bambola (1921) fino all'estremo commiato dalla vita e dalla tela, in quell'opera afasica "Liegende Gestalt im Bett" del 1976, stare a letto, tratteggiato ad olio e carboncino poco prima di morire: un letto che è già un sarcofago proiettato lontano, nella consueta prospettiva distorta,  in penombra, nel buco di una pittura ormai libera, che respira del proprio vuoto.

Nei cinquant'anni e passa che stanno in mezzo, Varlin si erge umanamente e artisticamente solitario; eppure, rileva Stefano Crespi – autore di una accorata e attenta esegesi della sua bibliografia da parte in particolare del mondo letterario – magnetico, capace di travalicare i codici linguistici e intellettuali, di superare le barriere che separano gli ambiti, di incrociare gli sguardi dei poeti, non solo di radi mercanti.

Puppe, 1921Puppe, 1921

I poeti, gli scrittori che hanno còlto come Varlin, più di Giacometti, nato a Stampa, guarda caso pochi chilometri da Bondo, avvertisse in qualche modo il paradosso della swissitudine, intesa come non luogo, elevata a metafora dell'esistenza, pervicacemente contraddetta dalla impudica materialità della vita con cui la sua pittura si scontra fin dall'inizio, la sua corporeità, carnale, banale,  – Patrizia alla toilette dell'atelier, La prostata, Il pissoir parigino sono solo alcuni dei suoi temi -; e allo stesso tempo la lievità della poesia del "vento che passa tra i capelli" secondo la felice intuizione ancora di Crespi.

Il gusto per il teatro della vita, l'ammirazione per Napoli e i suoi furfanti, la fissazione per la domesticità dell'esistenza, per la sedia, il proprio letto, il cane Zita, e le smisurate prospettive grandangolari con cui osserva dall'alto Montreux – da vertigine la panoramica in mostra, del lago e della cittadina svizzera lacustre innevata.

Merito, merito davvero all'amministrazione e al giovane Flavio Arensi aver riportato Legnano tra i centri più attivi nel campo culturale nel giro di pochi anni: a colpi di maestri come Kertèsz, Rouault, Galli, Chigine, Ferroni,la Kollwitz, Goya – a proposito, per le incisioni del genio spagnolo più di 12.000 presenze, numeri mai visti da quelle parti – e da ultimi, Rustin e Varlin. Non mostre-monstre, ma idee intelligenti e collaborazioni attive. La ricetta giusta.