'Rosso plastica', 1962'Rosso plastica', 1962

Parla l'arte – Si può ricondurre al 1952, l'esordio artistico di Alberto Burri, chirurgo di Città di Castello, che abbandona la sua professione per dedicarsi interamente ad una più urgente vocazione, quella artistica, che lo accompagnerà fino alla scomparsa nel 1995. Inizialmente è il catrame a diventare oggetto che impregna la tela, poi, a partire dal 1950-'51 è la volta della serie Muffe, per passare ancora ai sacchi di juta. "Potrei ottenere quel tono di marrone, ma non sarebbe lo stesso perchè non avrebbe in sè tutto quello che io voglio che abbia…Nel sacco trovo quella perfetta aderenza fra tono, materia e idea che col colore sarebbe impossibile', confessa Burri nel 1956. Una delle prime sale della grande mostra antologica allestita oggi presso la Triennale di Milano, ripercorre questa primigenia fase del maestro, in cui ha origine quell'uso dei materiali che definiscono i grandi cicli nella sua produzione, per cui Burri elegge le materie a colori, come specifica nella citazione del '56. Di questi primi anni, in mostra l'opera Bianco (1952), esposto solamente due volte in Italia e mai all'estero. A questo sono accostate realizzazioni degli anni '50, Combustione Sacco (1955), Combustione 15 (1957), Combustione Plastica (1958), Combustione legno (1960), opere che l'artista crea con il suo pennello di fuoco.

'Sacco ST11', 1954'Sacco ST11', 1954

Attimi di creazione – Una serie di scatti fotografici di Aurelio Amendola, ritraggono il maestro nei momenti di vita quotidiana, accanto ad amici artisti e non, nei momenti più affascinanti del suo particolare corpo a coro con le materie. Burri, di fronte un grande foglio di plastica, in mano la fiamma ossidrica. La materia si brucia, cambia colore, modifica la forma, si fonde, si muove, si ferma. "Ho in mente da tempo di dire come bruciano le cose, com'è la combustione, e come nella combustione tutto vive e muore per fare una unità perfetta", spiegava Burri in merito alla serie che va sotto il nome di Combustioni, create a partire dal '54. Tre anni più tardi è il ferro a caratterizzarne la produzione; due gli esempi in mostra. Appaiono poi i Cretti e i Cellotex: "la mia pittura non deve essere spiegata", affermava l'artista in un'intervista del 1994. Queste ultime opere non hanno bisogno di parole. Emozioni che si intersecano con la materia stessa, con le crepe, con le mani dell'artista che si leggono sulla superficie di tali opere, con le lacerazioni e la lucidità del colore. "La finzione di un quadro, una sorta di trompe l'oeil a rovescio, nel quale non è la pittura a fingere la realtà, ma la realtà a fingere la pittura", dichiarava Giulio Carlo Argan osservando l'operato di Burri.

Per vie parallele – Una sala interamente dedicata alla produzione grafica, con i vivaci esempi di Cartella serigrafica Sestante datata fine anni '80; 16 serigrafie, tratte da un ciclo pittorico omonimo del 1982. Una breve parentesi per tornare ai materiali concreti usati da Burri per 'colorare' la superficie. I Cellotex, sperimenti che impegnano Burri negli ultimi vent'anni di attività; un materiale comune ottenuto da segatura e vinavil, il cui impiego originario era quello per l'isolamento di pareti e coperture di edifici. Nuovamente avviene l'elevazione a centro focale del suo fare di un materiale estraneo all'arte tradizionale. Ancora Cretti negli anni '90, con un dettaglio in più: l'oro. Nero e oro (1994), superfici grezze, virtuosismo nella stesura della preziosa cromia, ad esaltare il contrasto con il nero opaco.

'Cellotex', 1980'Cellotex', 1980

Inediti all'ItaliaArchitettura con cactus, esposte per la prima volta nel nostro Paese; un ciclo iniziato nel 1991 che doveva, per volere del suo creatore, rendere omaggio ad Atene, città madre del teatro. Proprio a quest'ultimo Burri ha dedicato molto tempo ed energia: Teatro Continuo, nato per la Triennale del 1973 e, come noto, distrutto nel 1989, senza motivazioni, per iniziativa di un assessore di Milano – un gesto che irritò l'artista, tanto da cancellare Milano dalla sua geografia espositiva e far di questa mostra alla Triennale una sorta di risarcimento postumo. Una sorta di quinta scenografica a inquadrare il Castello Sforzesco, collocata sull'asse centrale di Parco Sempione; oggi visibile solo grazie a fotografia dell'epoca. In mostra immagini, modellini e progetti per le scenografie di importanti spettacoli del tempo, da L'avventura d'un Povero Cristiano (1969), di Ignazio Silone, a Tristano e Isotta (1975), di Richard Wagner per il Regio di Torino, fino a November Steps (1973) prestato dal Teatro dell'opera di Roma, in cui lo sfondo, realizzato con un Cretto, mutava nel corso dello spettacolo.

Burri in grande – Tra le immagini che ritraggono il maestro, non potevano mancare quelle che testimoniano l'unica creazione ambientale dell'artista: Grande Cretto, circa 12 ettari, nuova immagine di Gibellina. Una realizzazione che ha coinvolto Burri nel 1985, per ridare vita, a 20 km di distanza, al piccolo borgo distrutto da un sisma nel 1968. Entrate veramente nelle crepe, nella voragini, nelle venature della materia di Burri, vivere quel calore che si vede nelle combustioni, camminare tra quelle quinte teatrali, mobili, vive, reali. Una mostra che non è solo da vedere, ma da sentire, perchè sembra di camminare tra le opere accompagnate dall'artista stesso, sempre e comunque presente in ogni singola creazione.

'Alberto Burri'
11 Novembre 08 – 08 Febbraio 09
Orario: 10.30 – 20.30
chiuso il lunedì
Triennale di Milano
Ingresso: 8 € – 6 € – 5 €
a cura di Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi
Catalogo Skira