Quello del Museo Baroffio è un caso che ha scosso dall’interno il mondo della cultura varesina. Una vicenda innescata dal netto cambio di strategia adottato dal museo, ma che ha fin da sùbito travolto tutto il sistema culturale del Sacro Monte.

Basta un sguardo alle reazioni ai servizi di Rete55 e fare un rapido giro di telefonate tra gli addetti ai lavori e tra chi è impegnato quotidianamente nel settore turistico, per respirare una certa insofferenza, un malcontento che piano piano viene a galla, ma non esplode.

Già, sono tante le domande che continuano a circolare. Quali sono i veri motivi per cui è stato lasciato a casa uno staff di volontari già formati e di alta competenza? Aver ritoccato i prezzi dei biglietti al rialzo è davvero una buona strategia per sanare un bilancio in rosso?

Tra i tanti che rimpiangono la gestione scientifica precedente, c’è chi auspica che il ruolo di conservatore del Baroffio non resti vacante ancora per molto, rimarcandone l’assenza anche a Casa Pogliaghi.

Infine vengono toccati argomenti più spinosi: perché questo repentino desiderio di business da parte degli attori in questione? Come vengono gestiti tutti gli introiti? C’è trasparenza?

Un coro di voci, che tuttavia preferisce ruggire solo davanti alla tastiera di un pc, evitando di uscire allo scoperto.

Da parte nostra abbiamo tentato di far chiarezza, soprattutto perché di mezzo c’è un bene storico e spirituale che sta a cuore a noi tutti, il Sacro Monte. Abbiamo tentato di approfondire, dando voce ai protagonisti e mettendoci a disposizione di chi voleva intervenire. Abbiamo scavato tra i solchi di una vicenda che potrebbe rivelarsi solo la punta di un iceberg. I nostri servizi sono stati se non altro utili per far capire che tra i vicoli del borgo ci sono verità nascoste ed incomprensibili, e verità che non si possono dire.

Tra dinieghi e silenzi di circostanza, Rete55 e Artevarese vogliono rimanere aperti all’ascolto, consapevoli di quanto la parola fine sia ancora lontana.