skira Archivi - ArteVarese.com https://www.artevarese.com/tag/skira/ L'arte della provincia di Varese. Tue, 03 Jul 2018 06:16:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.4 https://www.artevarese.com/wp-content/uploads/2017/05/cropped-logo-1-150x150.png skira Archivi - ArteVarese.com https://www.artevarese.com/tag/skira/ 32 32 Pietro Consagra, prima l’uomo poi lo scultore https://www.artevarese.com/pietro-consagra-prima-luomo-poi-lo-scultore/ https://www.artevarese.com/pietro-consagra-prima-luomo-poi-lo-scultore/#respond Tue, 03 Jul 2018 06:16:45 +0000 https://www.artevarese.com/?p=45916 L’autobiografia “Vita mia” fu scritta da Pietro Consagra nel 1980. Presentata al Premio letterario Mondello, ottenne il Premio Speciale della Giuria. L’editore Skira l’ha riproposta lo scorso anno e l’ha presentata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, in concomitanza con la prossima pubblicazione del Catalogo ragionato delle opere dello scultore siciliano. La diatriba “realismo astrattismo” […]

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L’autobiografia “Vita mia” fu scritta da Pietro Consagra nel 1980. Presentata al Premio letterario Mondello, ottenne il Premio Speciale della Giuria. L’editore Skira l’ha riproposta lo scorso anno e l’ha presentata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, in concomitanza con la prossima pubblicazione del Catalogo ragionato delle opere dello scultore siciliano.

La diatriba “realismo astrattismo”

Il libro è quanto di meno autocelebrativo si possa pensare. All’inizio degli anni Ottanta, Consagra è al culmine della sua carriera, ma della sua esperienza artistica parlerà solo in un breve capitolo finale. Non ha reticenze nel raccontare la sua terra, la vita in Sicilia, drammatica, legata a valori ancestrali, poverissima, i suoi problemi affettivi.

Ed è altrettanto diretto nel riportare la sua vicenda intellettuale, il fermento e il dibattito culturale a cui partecipa, spesso senza esclusione di colpi, nell’area della Sinistra, i sodalizi e i contrasti sul ruolo dell’arte. Il suo stile di scrittura, essenziale, è quasi un’operazione “in levare”  ma nel suo procedere aneddotico non manca un certo spirito polemico, mai però fine a se stesso.

Nella diatriba “realismo-astrattismo”, raccontata con passione ma senza livore, esce lo spaccato di una Sinistra incapace di unire le varie anime che la compongono, come capita anche oggi. Consagra assume posizioni decise. E’ contro un certo perbenismo borghese, contro certe forme di accondiscendenza al potere, contro l’ipocrisia del sistema.

Difende a spada tratta l’astrattismo, nato, secondo lui, “per difendere (la cultura) come una coscienza oltre i problemi quotidiani, oltre i problemi di dominio militare e dei mercanti”. L’astrattismo per lui è spiritualità, provocazione. Tanto da aggiungere: “Tutto quello che c’è stato di fantastico nel nostro secolo non è venuto dal realismo. Di realistico nel mondo c’è stato solo l’armamento militare. … Un’arma contro la guerra è venuta solo dal fantastico”. L’adesione all’astrattismo è per lui anche sinonimo di trasgressione nei confronti di una certa retorica politica, conservando l’orgoglio di essere a un tempo marxista e astrattista.

Il rapporto con la materia e con il colore

Consagra racconta la fame patita, è convinto che la miseria della gente la si possa combattere e, fin da giovanissimo, quando si iscrisse alla scuola serale di disegno, cercò di riscattare la sua umile origine attraverso la sua arte per “vivere – come disse lui stesso – da falco sulle cime di un orgoglio da povero.” Il suo, fin dall’inizio, è un rapporto con la materia, con la creta da modellare in particolare, rinunciando al colore troppo costoso. Quel colore che, per paradosso, negli anni Sessanta sarebbe stato per Consagra, invece, una “necessità”, un elemento primario nel processo di realizzazione della sua idea creativa.

Tra il 1945 e il 1949 la cultura è quanto mai viva. Nascono, e muoiono anche rapidamente, gruppi, movimenti, riviste. Lui è tra i protagonisti di “Forma I” che va contro un certo establishment, presente anche nel Partito Comunista, considerato troppo conservatore. Dopo la Biennale d’arte del 1964, Consagra assumerà anche una posizione molto critica nei confronti della Pop Art, definendola, insieme al realismo, un movimento decadente e cinico. E inizierà il distacco dal Pci e dalla politica militante.

Nel suo libro, Consagra si chiede cosa abbia portato lui agli altri. “Ho esportato il mio carattere – si risponde- ne ho fatto un valore e un mito. Ma che cosa è questo carattere? E’ un diritto umano a non subire sopraffazioni, è il patrimonio della propria esistenza, la possibilità di scegliere e reagire con una propria coscienza…”.

L’esperienza della “Città frontale”

Qui sta tutto l’impegno e l’integrità ideologica di Consagra che troverà una ulteriore conferma, quando potrà dare al suo lavoro di scultore anche un respiro architettonico e ambientale, grazie al felice  incontro con il sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao. Gibellina era stata colpita dal terremoto del Belice del 1968  e bisognava ricostruire una città nuova. Consagra si impegna a realizzare questa utopia con la “Città frontale”.

L’ intuizione della frontalità di Consagra è una forma espressiva ideale che produce una scultura bidimensionale, nella quale la luminosità del colore svolge un ruolo fondamentale. Le composizioni sembrano dei bassorilievi, in cui rivivono, con forza formale, i valori plastici tradizionali.

Consagra crea una scultura in cui si può abitare perché lui intende l’architettura e l’urbanistica non in chiave razionalistica e funzionale, ma caricandola di valori e sentimenti. In una visione ancora oggi di grande interesse per le nuove generazioni, anche se l’opera non fu mai conclusa e resta abbandonata, nonostante vari tentativi, anche di recente, di ridarle vita. Rimane un’utopia, il sogno di una città sperimentale dal volto umano, un’occasione mancata ma anche una speranza per il futuro.

“Vita mia di Pietro ConsagraEditore: Skira – Anno di pubblicazione: 2017Euro 16

 

Ugo Perugini

 

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Picasso e la sua ispirazione classica https://www.artevarese.com/picasso-e-la-sua-ispirazione-classica/ https://www.artevarese.com/picasso-e-la-sua-ispirazione-classica/#respond Tue, 12 Jun 2018 11:30:03 +0000 https://www.artevarese.com/?p=45524 Presentata a Palazzo Marino, la Mostra “Picasso Metamorfosi” che prevede l’esposizione di oltre 200 opere tra lavori di Picasso e opere d’arte antica, provenienti dal Musée National Picasso di Parigi e altri importanti prestatori europei. La Mostra, prodotta da Comune di Milano, Palazzo Reale e MondoMostreSkira, è curata da Pascale Picard. Picasso e la passione […]

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Presentata a Palazzo Marino, la Mostra “Picasso Metamorfosi” che prevede l’esposizione di oltre 200 opere tra lavori di Picasso e opere d’arte antica, provenienti dal Musée National Picasso di Parigi e altri importanti prestatori europei.

La Mostra, prodotta da Comune di Milano, Palazzo Reale e MondoMostreSkira, è curata da Pascale Picard.

Picasso e la passione per l’arte antica

Pablo Picasso fin da giovane, amò l’arte classica. A 13 anni rimase affascinato dal famoso “torso del Belvedere” e cercò di disegnarlo. Ma l’interesse maggiore verso l’arte classica si svilupperà più avanti e soprattutto nel 1917 con il suo primo viaggio a Roma, Napoli, Pompei e l’incontro con gli etruschi, la scultura monumentale antica, le pitture pompeiane.

Lo spirito inquieto di Picasso, dopo un’esperienza importante, come quella della rivoluzione cubista, non fa tacere il richiamo dell’arte classica (ma anche della letteratura antica) che lo animava e anzi lo spinge a ricercarne, ove possibile, una libera interpretazione, ripercorrendo certe sollecitazioni mitologiche che superano i limiti del tempo e restano archetipi fondamentali.

Le radici e le matrici mitiche sopravvivono in Picasso

“Les Demoiselles d’Avignon” (1907), ad esempio, rappresenta una nuova dirompente estetica contro i canoni classici della bellezza; la sua operazione, per certi aspetti dissacratoria, però lascia trasparire echi della statuaria iberica e di certe tradizioni africane, cioè altri archetipi della storia dell’arte.

Insomma, nel processo creativo di Picasso l’arte classica, anche di tradizioni diverse, svolge un ruolo importante sempre attivo come certe sue peculiari visioni dell’universo femminile, dell’erotismo, e del rapporto tra l’artista e il suo modello.

Opere di Picasso e opere classiche che si “parlano”

La Mostra a Palazzo Reale ha il merito di compiere un esperimento visuale importante e suggestivo: avvicinare opere classiche che hanno ispirato l’Artista catalano alle sue realizzazioni, un faccia a faccia utile a scoprirne la chiave di lettura che è tutta particolare e, in certi casi, addirittura, intima.

La Mostra è suddivisa in sei sale. La prima riguarda “La mitologia del bacio” che coinvolge opere di artisti come Ingres e Rodin. La seconda riguarda “Arianna”, la scultura che si trova al Vaticano, copia di un originale greco, emblema di un erotismo che trascende il sesso, visto che Arianna dorme, sotto lo sguardo dell’artista, affascinato, come Pigmalione, dalla sua stessa creazione. Qui Picasso reinterpreta l’opera in vari nudi femminili, odalische, anche dormienti, e vi trasferisce emozioni legate a fantasie che fanno scaturire esseri fantastici, fauni, minotauri, centauri.

Nella terza sala “Alla fonte dell’antico-Il Louvre” Picasso si ispira alla personificazione del fiume Nilo (copia romana, conservata al Campidoglio), il gigante circondato dai suoi figli (gli Egizi), per realizzare La fonte, opera alla quale ne seguiranno altre riprese da pitture di vasi greci e bassorilievi.

I miti greci, etruschi e iberici

Nella quarta sala “Le Demoiselles del Dyplon: tra greci, etruschi e iberici”, ricorre alle estreme stilizzazioni di certi vasi d’epoca geometrica, elaborando il suo precedente capolavoro e arrivando alle sculture filiformi come Donna seduta (1930) che, a sua volta, ispireranno i lavori di Giacometti.

Nella quinta sala, il riferimento classico sono l’opera letteraria “Le Metamorfosi” di Ovidio con la spettacolare scultura La donna in giardino (1932). Un particolare interessante. All’epoca Picasso incontra l’editore Albert Skira e ne diventa amico. Per lui realizzerà tramite acqueforti le illustrazioni di un’edizione speciale delle “Metamorfosi”. Massimo Vitta Zelman, attuale presidente di Skira, ha anticipato che a ottobre, in occasione dell’evento su Picasso, sarà predisposta una ristampa anastatica del volume.

Nell’ultima sala “Antropologia dell’antico”, Picasso sperimenta la terracotta dipinta. Qui, è evidente il ricordo dei ritrovamenti a Pompei che sono rielaborati dall’Artista con il suo gusto particolare. Si tratta di piastrelle, piatti, vasi, portafiori, brocche.

Una Mostra che suscita fin da subito grande curiosità e che non mancherà di attirare il grande pubblico. Insieme alla ristampa anastatica del volume delle “Metamorfosi” di Ovidio, a cui abbiamo accennato, sarà disponibile anche un grande catalogo realizzato sempre da Skira editore.

 

Ugo Perugini

 

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1875: che ci fa Rimbaud a Milano? https://www.artevarese.com/1875-che-ci-fa-rimbaud-a-milano/ https://www.artevarese.com/1875-che-ci-fa-rimbaud-a-milano/#respond Mon, 21 May 2018 09:29:15 +0000 https://www.artevarese.com/?p=45140 Inutile negarlo. Edgardo Franzosini è uno scrittore “sui generis”. E’ uno che si lascia sedurre dai personaggi più strani e ambigui. Più sono eccentrici, fuori dagli schemi più ne rimane affascinato. E non importa se gli elementi che raccoglie sulle loro vite disordinate sono in parte veri, in parte frutto di fantasie, invenzioni, immaginazioni, turbamenti […]

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Inutile negarlo. Edgardo Franzosini è uno scrittore “sui generis”. E’ uno che si lascia sedurre dai personaggi più strani e ambigui. Più sono eccentrici, fuori dagli schemi più ne rimane affascinato. E non importa se gli elementi che raccoglie sulle loro vite disordinate sono in parte veri, in parte frutto di fantasie, invenzioni, immaginazioni, turbamenti personali, incubi persino.

A lui piace costruire intorno ai personaggi che cadono nella sua rete di ragno, delle atmosfere, come un moderno medium che vuole stupire i clienti raccolti attorno al tavolino traballante di una seduta spiritica. E usa le armi giuste, per far apparire fantasmi, aleggiare immagini e situazioni ambigue, suscitare  presenze inquietanti, figure appena intraviste, ombre. E in questo sulfureo ambiente non nasconde un certo ironico ammiccamento, un’alzata di sopracciglia furbesca.

Puntualmente questo si ripete nella sua ultima fatica, il libro “Rimbaud e la vedova”, Skira editore, dedicato appunto ad Arthur Rimbaud, poeta veggente, autore di  “Vocali”, “Il Battello ebbro” e “Una stagione all’inferno”. Ma del poeta a Franzosini interessa in particolare un suo viaggio a Milano nel 1875, dove sembra sia stato ospitato per poco tempo da una vedova che abitava in una casa di fronte a piazza Duomo.

Quale migliore occasione per raccontare con qualche brillante pennellata la Milano di quegli anni? Hans Tuzzi ha nelle sue corde la capacità di rievocare con sapida arguzia certe storie e la fa da par suo nella presentazione del volume che si è tenuta al Circolo dei Lettori in Casa Manzoni. Milano in quegli anni è una città in trasformazione, che sta diventando italiana da asburgica che era. Era morto da poco Manzoni, l’anno prima anche Rovani, l’autore dei “Cento anni”, se n’era andato e a dicembre pure lo scapigliato Praga lascerà questo mondo.

Insomma, siamo verso la fine di un’epoca, e Giovanni Verga, siciliano, scrive a Capuana tessendo le lodi di una città che definisce “bella”, sotto le fredde lune d’acciaio di Natale. Ci sono ancora i Navigli. Dove oggi c’è la Biblioteca Sormani c’è un mulino. In piazza Duomo, proprio vicino alla cattedrale, si trovano, ancora per poco, le case del Rebecchino, un intrico di vie strette, fatiscente e maleodorante, dove prospera la malavita. Verranno abbattute pochi mesi dopo la partenza di Rimbaud. E Rimbaud, poeta che si nutre di ombre e di silenzio, dopo l’incontro con la misteriosa vedova, deciderà di rinunciare per sempre alla poesia, trasformandosi in “qualcuno che era stato lui, ma non lo era più, in nessun modo” (parole di Mallarmé).

Non aspettatevi di capirne il motivo perché Franzosini non ce lo dice. Non ce lo fa nemmeno intuire anche se è abile a mettere uno dietro l’altro diversi fatti strani, diverse coincidenze improbabili. Ma anche senza documenti se non vaghe tracce, la sua ricostruzione risulta  egualmente avvincente. Comunque sia, Rimbaud resta un personaggio strano. Ce lo conferma anche il poeta Valerio Magrelli che ha dato un contributo prezioso alla presentazione del libro di Franzosini.

Arthur Rimbaud nel 1871 ~ foto di E. Carjat

Rimbaud è un latinista abilissimo, come il Pascoli, suo coetaneo, non ama per nulla la pittura (per lui il Louvre avrebbe anche potuto essere bruciato all’epoca della Comune per “mettere l’umanità di fronte al suo nefasto orgoglio”), è un lettore accanito (falsifica la sua data di nascita per poter frequentare le biblioteche) e soprattutto un grande camminatore, un romantico “wanderer”.

A Milano sembra che ci sia arrivato dalla Francia a piedi. Gira sempre senza cappello e, ironia della sorte, per uno come lui che ha camminato in lungo e in largo per l’Africa, si beccherà un’insolazione andando da Siena a Livorno. E finirà in ospedale. Altri fatti strani costellano l’aneddotica di Rimbaud. Quando morì, la madre volle essere calata nella fossa per controllare direttamente la sepoltura. Una madre alquanto invadente, che si definiva vedova anche se il padre era vivo e vegeto a Digione e per par condicio, a sua volta, amava definirsi vedovo.

Che la vedova che trova a Milano, alla fine, sia proprio la madre? Non vogliamo svelarvi nulla. Certo Rimbaud, ma anche le persone che gli ruotano attorno, sono personaggi ambigui, inafferrabili. Ma la scoperta più sconvolgente la rivela proprio Magrelli quando dice che lo scrittore americano David Morell che ha inventato il personaggio di Rambo, nei film interpretati da Sylvester Stallone, si sia ispirato proprio alla figura di Rimbaud (assonanza del nome a parte), un uomo sradicato, incapace di adeguarsi alla vita normale. Anche se c’è chi continua a credere che il nome Rambo derivi da un tipo di mela della Pennsylvania.

Con conferme, smentite, illazioni, ipotesi, Franzosini  va a nozze. Se lo si definisce scrittore di personaggi non funzionali o detective folle non si offende. Pontiggia che lo ha conosciuto l’aveva definito l’impiegato dell’assurdo. Certo, come diceva Sciascia, le uniche cose sicure a questo mondo sono le coincidenze. E Franzosini in esse ci sguazza, e ne descrive molte comprese quelle che lo hanno spinto a scrivere il suo libro, alcune persino incredibili, compreso uno scivolone premonitore in via Rastrelli con annessa slogatura del ginocchio.

Rimbaud e la vedova, Edgardo Franzosini, brossura, 96 pag. € 12,90

 

Ugo Perugini

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