Busto A. – Tutti la chiamano Villa Gabardi quando, in momenti di “amarcord”, rimpiangono la sua demolizione e di non poterla più vedere in via Mameli nella sua imponente eleganza. Pochi però conoscono la sua storia, neanche tanto lunga eppure meritevole di essere conosciuta. Incominciando prima di tutto da chi la fece costruire: il cavalier Carlo Bossi, persona eminente in città nei primi anni del secolo scorso, vice presidente della Banca del Piccolo Credito Bustese, consigliere di riferimento in numerose società fra cui la “Anonima del Gaz” e fondatore nel 1902 con altri soci della “Bettini, Marcora & C.”, una ditta specializzata nella “fabbricazione della calzatura a macchina e delle tele da cappotto per automobili”. La ricchezza non doveva certo mancargli tanto che nel 1925 decise di far costruire per sé e la sua famiglia una dimora giusto per evidenziare l’ascesa sociale e il prestigio acquisito. Invece di affidarsi a professionisti locali diede l’incarico della progettazione all’architetto di Venezia Duilio Torres, una figura di riferimento, apprezzatissima dalle famiglie della “haute” che volevano una casa da villeggiatura al Lido, decantato in quegli anni come “la stazione climatico-balneare più elegante d’Italia”, addirittura con “la spiaggia più bella del mondo”.
Torres, pensando a Busto, non propose giustamente un palazzo in stile veneziano e nemmeno pensò al Liberty, nel 1925 ormai passato di moda, o al Déco che da Parigi veniva imponendosi anche in Italia. Assecondando i gusti- credo – del cavalier Bossi prospettò un edificio ancora di gusto eclettico, quindi senza nessuna modernità, piuttosto di tono rassicurante e tradizionalista nella variata monumentalità neobarocca. A costruirla scrupolosamente, seguendo i disegni di Torres e le sue indicazioni circa i materiali che per la facciata erano indicati come “bugnato e cementi decorativi”, fu poi l’impresa fondata nel 1924 dell’ingegner Piero Tosi, diventata l’eccellenza nel campo a Busto Arsizio, che si impegnò a ultimare la villa in un tempo relativamente breve, pur mancando la data del 21 giugno 1927 quando Vittorio Emanuele III passò lungo via Mameli per andare a inaugurare il monumento ai Caduti.
Chi dalla nuova stazione raggiungeva piazza Garibaldi e il centro della città non poteva non indugiare almeno un poco a dare un’occhiata al palazzo e all’atrio grandioso che lasciava intravvedere il curatissimo giardino alle spalle, fermandosi anche ad ammirare la facciata nel suo fluido alternarsi di concavo e convesso, gli estrosi pinnacoli sul coronamento e poi le inferriate e i cancelli (uno rimane ancora, anche se un po’ malandato) dal disegno elegantemente elaborato. Bella da vedersi villa Bossi anche mano a mano che si percorreva l’aristocratica via IV novembre di cui diventava un superbo fondale scenografico.
Peccato che quando il cantiere del palazzo fu ultimato, circa il 1928, il cavalier Bossi non potè godersi questa bellezza così tenacemente voluta perché venne a mancare l’anno successivo e la sua famiglia di lì a poco vendette la proprietà a Edoardo Gabardi, titolare di uno storico cascamificio della città con sede in piazza Trento e Trieste. Avesse avuto solo questo il commendator Gabardi! Il distinto signore, quale appare in un ritratto del pittore Carlo Bonomi nella Quadreria dei benefattori dell’Ospedale, era infatti anche comproprietario del cotonificio Ponte San Marco, della Filatura di Cossato e del Tubettificio Intrese. Ma non era solo alle industrie che il commendatore riservava le sue attenzioni; era anche lui consigliere di quasi tutte le associazioni esistenti in città, da quelle assistenziali a quelle culturali e sportive. E, venuto il momento, non mancò di essere generosissimo oblatore per la Colonia Elioterapica e la chiesa di Sant’Edoardo allora in costruzione.
Nella villa, o palazzo che dir si voglia, ricevimenti, pranzi e feste, anche dei nipotini, soprattutto per il Natale quando in una sala veniva allestito un meraviglioso presepio, erano una consuetudine ed essere invitati in quelle occasioni era davvero importante. Erano gli anni ruggenti di Busto, destinati purtroppo a non durare a lungo giacchè giunsero prima la guerra e poi la crisi dell’industria tessile che misero fine a questo mondo. Edoardo Gabardi, nel frattempo nominato Cavaliere del Lavoro, continuò comunque ad essere operoso, pur se gli anni erano sempre più tanti – era nato nel 1871 – e a vivere nella sua villa, nel frattempo diventata più silenziosa e vuota, fino alla scomparsa avvenuta nel 1962. In tempo per non vederla brutalmente demolire portandosi dietro anche una Busto che doveva esser stata bella.

Giuseppe Pacciarotti