È uso comune che il catalogo di una mostra inizi con un testo, di solito affidato ad un critico esperto. La funzione del testo è semplice: tradurre il codice iconico, usato dall'artista, nel codice linguistico, accessibile ai fruitori. Tutto qui. 

Operazione necessaria, il più delle volte, indispensabile addirittura quando le immagini risultano ostiche, misteriose, estranee. Ben venga il testo, dunque, che ci orienta, ci guida, ci fa vedere con la mente quello che avevamo visto soltanto con gli occhi.Il catalogo che tenete in mano e che forse state sfogliando, non contiene un testo. Niente introduzione, quindi, niente spiegazioni, niente di niente.

Il catalogo che tenete in mano raccoglie una serie di immagini, alcune famosissime, altre note a molti, qualcuna familiare magari per gli addetti ai lavori. Ci troviamo il taglio di Fontana come Il grido di Munch, L'ultima cena di Leonardo come il barattolo di zuppa Campbell di Warhol, e così via. 

Non c'è bisogno di un testo per capire, tanto è stato scritto su queste immagini che aggiungere qualcosa sarebbe superfluo, se non addirittura presuntuoso.Queste immagini, però, non viaggiano da sole. Sono accompagnate da una scritta, in caratteri grandi o minuscoli, che ne ironizza il contenuto. 

Avrete già capito che si tratta di parodie, giochi di parole, calembour, battute insomma. E se nulla si può dire delle immagini, figuriamoci delle battute. Sarebbe come spiegare le barzellette.Dunque niente testo.


Manzoni, parlo di Piero naturalmente, ci ha lasciato una frase tanto bella quanto giusta nella sua essenzialità: "Non c'è nulla da dire. C'è solo da essere, c'è solo da vivere". 


A Piero ho rubato tante immagini per le mie parodie, non me ne vorrà se gli rubo anche le parole, queste parole, che restituisco, è naturale, attraverso una parodia che chiude la mia breve nota:

Non c'e nulla da dire. C'è solo da guardare, c'è solo da ridere.