Cerro di Laveno – Verrebbe da scrivere, manzonianamente, che Cerro di Laveno è una “terricciola” sulla riva sinistra del lago Maggiore con il “gruppetto” di case che scendono verso la spiaggia dove ancora in questi giorni si crogiolano i bagnanti: tranquilli e contenti come chi sta seduto al ristorante o passeggia nell’ombroso piazzale dove si impone, in cinquecentesca severità, Palazzo Perabò.

Diventato la sede del Museo Internazionale Design Ceramico (MIDeC), riunisce nelle sue sale una variegata produzione di lavori (belli davvero i giocosi oggetti déco di Guido Andlovitz e quelli di intensa immaginativa di Antonia Campi) creati per la Società Ceramica nella sua sede di Laveno, oggi purtroppo in vergognosa decadenza, progettata da Piero Portaluppi negli anni Venti. Proprio gli anni in cui era direttore dell’antagonista Richard Ginori l’architetto/designer Gio Ponti alle cui creazioni negli ambienti a pianterreno del Museo è riservata una mostra assolutamente imperdibile.

Son più di cento i soprammobili, i vasi e i piatti prestati da un collezionista con una disponibilità che non si finirà mai di lodare, tutti riconducibili ad un intervallo di tempo che va dal 1923 al 1938, tanto durò la collaborazione di Ponti con l’antica e gloriosa manifattura mezza lombarda e mezza fiorentina. Fu bravo a rilanciarla inventando forme e decorazioni di una linea fresca, leggera, accattivante, lontana anni luce dal liberty in auge solo pochi anni prima. E lo fece senza radicali scompigli ma riandando alle forme tornite e sinuose del neoclassico (più che del classico) tuttavia rivissute in veste straniante e imprevista, in taluni casi fin di sottile arguzia.

Il percorso “ceramico” di Gio Ponti si allineava con queste proposte all’euforico fare artistico internazionale di quegli anni, anzi in Italia lo scandiva evitando con opportuna eleganza accademie e algori; i critici in visita alle stimolanti Biennali d’Arte Decorativa di Monza lo apprezzarono e fin gli sciovinisti francesi ne furono affascinati tanto da assegnare un Grand Prix alla Richard Ginori e il prestigio per Gio Ponti di uno scritto sul catalogo della “Exposition des Arts décoratifs et industriels modernes” svoltasi con gran rilievo a Parigi nel 1925 a consacrazione definitiva dello stile Déco.

Questo momento davvero fervido per l’architetto/designer lo si apprezza nel migliore dei modi nella mostra di Cerro (fino all’8 ottobre) a cura di Anty Pansera e di Giacinta Cavagna di Gualdana, sia riassaporando la bellezza di “cose” note e apprezzate, sia scoprendo il fascino di altre: in tutte mai una caduta di stile, mai una ripetitività, sempre variando con fantasia. Una fantasia briosa e sorprendente come quando disegna portafiammiferi alati e colorati o calamai nei quali intingere pennini dorati per scrivere lettere sognanti alle varie Emerenziane, Domitille e Donatelle, le “sue” donne evocate in morbide pose sui vasi, sugli otri e sui piatti dove, in fluttuante svolazzo, lascia scritto: “se la donna ti parla sorridile e non ascoltarla”.
Sembra proprio di vederlo sorridere Gio Ponti quando disegna questi oggetti o inventa l’eccentrico “Balletto-Omaggio agli snob” destinato a far da coperchio a una grande bomboniera o progetta le figure del giovane e pensoso “Pellegrino stanco” e del “Fumatore stanco” forse perché stordito dall’oppio.

Nella mostra non mancano ovviamente le forme da lui molto amate di anfore, urne e vasi con decori suggeriti dalla mitologia e dall’archeologia e allettevoli, appaganti sorprese tra cui, almeno per me, la “Coppa dei fantini” con la sfilata vivida delle giubbe colorate delle gloriose scuderie del tempo. C’è anche la verde e bianca della Modrone, quella di Luchino Visconti.

Giuseppe Pacciarotti