Giancarlo MarinucciGiancarlo Marinucci

Le micro-geometrie – All'apparenza, ad un primo sguardo, macroscopicamente non euclidea e frattale, la geometria profonda delle cose, quella microscopica, si rivela invece solidamente euclidea: oggi, si sa, non è la terra ad esser ‘piatta' (come mai in ogni caso fu creduta… ) ma l'intero cosmo si o così almeno, incredibilmente, parrebbe aldilà delle apparenze secondo le più aggiornate cosmologie del causale: un piano euclideo. Pur consapevoli che per l'artiere G.M., il cui magistero scultoreo attiene più all'artigiano che non all'artista (detto senza stilar graduatorie), sia fuorviante scomodare Euclide o, addirittura, quell' Ippocrate di Chio che ad Euclide fu ‘magistro', è un'evidenza che nelle figure da lui plasmate si faccian largo, si macroscopizzino al nudo occhio, quelle micro-geometrie altrimenti visibili solo strumentalmente : come per esempio i cristalli di certe vitamine al microscopio.

Fidarsi è bene
– E questo per subito chiarire e spazzar via equivoche categorie "critiche" che vogliono antitetico il 'figurativo' da ciò che non appare esser tale, mentre invece a contare dovrebbe essere la concreta qualità di un 'fare' troppo spesso lasciato a scadenti facitori o corruttori del fare medesimo, carenti o del tutto privi di magistero e maestria. Se mai a G.M., che ci sa fare da scultore, ciò che difetta è quell'alzata di immaginazione che conduca le sue forme a scrollarsi di dosso un eccesso di pesantezza e di grasso accademicamente un po' monumentalista. In ogni caso, meglio fidarsi di lui – formalisticamente antitetico al presente, ma almeno antitetico… – che dei predicatori degli attuali accademismi pompieri e pompati dai media ed alimentati da un malcostume che, in quanto costume, niente ha a che fare con artisti ed artieri e, tanto meno, con gli anartisti delle avanguardie del XX sec. che oggi, appunt, è tanto di moda scopiazzare senza ripensare. Quelle avanguardie a cui comunque G.M. dovrebbe offrir maggior sguardo e riguardo e maggiore peso per alleggerirsi un poco, come il cuoco che riferendosi al piatto di una tradizione lascia perdere la sugna della nonna optando invece per l'olio degli antichi.

Tra Oppenheim e gli Ashanti – Spieghiamoci: il "Minotauro" che emerge da un labirinto è un minotauro, l'"Orso" è un orso, mentre di un labirinto ciò che dovrebbe rimanere è il filo e di un orso la sua ‘orsità'; ma quella "Sedia" al centro della mostra, mostrata al centro di una girandola circense di temi animalier e mito-simbolisti, ricavata dai canalicoli delle fusioni a cera persa (duchampiano e autoreferenziale ready made di un fare scultureo), è qualcosa che, figliato da un collage non ridotto al 'copia-incolla', pur conservando la sua funzione d'uso (a differenza della ironica "Sedia x visite brevissime" del 1945 di un Bruno Munari), potrebbe stare tra il tavolino zoomorfo "Traccia" del 1939 della Meret Oppenheim (1913-1985) ed un antico trono degli Ashanti; certo non siederà su un tal seggio il rodiniano "Pensatore" del 1880-1902 (vi starebbe sulle spine…): esso, se non proprio pensato, almen fatto è per ben altre natiche: quelle del "ripensatore".