Novara – “Milano da romantica a scapigliata” è una intitolazione che dice già tutto e ben si addice alla mostra aperta fino al 12 marzo 2023 al Castello Visconteo-Sforzesco.

Dunque la Milano dell’Ottocento, quando la città contava davvero: per l’arte e per la storia. La rivoluzione industriale si vedeva e procedeva alla grande, il rinnovamento edilizio, tra suggestioni romantiche e poi eclettismi neorinascimentali e neomanieristi, pure. La cultura era all’avanguardia, in un via-vai di prime rappresentazioni teatrali o musicali e di uscite di romanzi che non serve citare perché li conosciamo tutti. Pittura e scultura erano una fucina operosissima e lo si era capito già, almeno per il periodo romantico, in una mostra alla Permanente ormai lontana nel tempo (1975!) dedicata ai Maestri di Brera.

Ovvio che la rassegna novarese sia del tutto diversa: quella focalizzava su generi e insegnamenti all’interno dell’Accademia, questa sceglie di fare un racconto per immagini di Milano, tra vie, piazze e angoli dove la vita scorreva già allora animata nella sua quotidianità. Un racconto visto e vissuto dai protagonisti e dai comprimari presentati a Novara in un’ampia galleria di ritratti dove si passa da quelli, immancabili, di Hayez, Molteni – suo quello, intenso, di Manzoni – e del Piccio fino alle palpitanti creature di Cremona e Ranzoni.

A. Inganni, Veduta del Naviglio di via Vittoria

Divisa in otto sezioni che seguono lo svolgersi cronologico della pittura a Milano, la mostra, a cura di Elisabetta Chiodini (catalogo METS Percorsi d’arte) riunisce un’ottantina di quadri pressochè tutti prestati da collezionisti privati che volentieri hanno accolto l’invito e se alcuni di codesti lavori testimoniano più che altro il fare artistico dei pittori attivi in Lombardia, altri raccontano davvero la storia della Milano ottocentesca. Una storia che l’arte ha inquadrato sia nel piccolo come nel grande (peccato però nemmeno un quadro a raffigurare l’interno della Scala) così che Milano ne esce attraente, ricca di orgoglio e dignità, anche di poesia, non solo quando i pittori riprendevano la piazza del Duomo o i Navigli, che dovevano essere belli – ma in estate le zanzare? – e a noi oggi tocca sapere che c’erano solo per il nome di talune vie: Laghetto, Molino delle Armi, Conchetta. C’è tanta vita e altrettanta vitalità e lo provano, tra gli altri, Angelo Inganni, autore

G. Canella, Veduta dello stradone di Loreto

di una tela con il Verziere in una giornata di freddo e di neve, o Giuseppe Canella che ferma lo “stradone di Loreto”  nel passeggio elegante e galante sotto i filari di pioppi, davvero inimmaginabile pensando all’oggi. E nelle chiese quante signore devote e pie a guardare l’interno di Santa Maria presso San Celso come lo dipinse il Bisi!

Con il passar del tempo la veduta incominciò a diradare o assunse un sapore elegiaco e nostalgico (alla mostra, giustamente, non ce n’è neanche una su questo tono) mentre non potè non offrire gran motivo l’epica delle Cinque

T. Cremona, Ritratto di Nicolas Massa Gazzino

Giornate e Baldassarre Verazzi e Carlo Bossoli si diedero da fare a immortalarla in modo partecipe, quasi che anche loro fossero lì fra i combattenti davanti a palazzo Litta o a Porta Tosa.

D. Ranzoni, Ritratto di giovinetta

Poi diventarono soggetto amato le persone che la città la vivevano: piacevolmente le fermò Mosè Bianchi mentre ad esse diedero un piglio diverso Tranquillo Cremona (gli spetta il ritratto pre-proustiano del giovane Nicola Massa Gazzino,  e gli scapigliati con il caso a parte, per via del soggiorno in Inghilterra con quel che gli poterono suggerire Turner e la ritrattistica, di Daniele Ranzoni, l’isolato e malato pittore di Intra che dipingeva giovinette  inquiete e pensose come cavandole dal fondo della memoria.

 

Giuseppe Pacciarotti