C'è sempre un viaggio da fare per un fotografo. Con una 6×7 al collo. Agile, docile, per gli appunti veloci; utile anche per le attese più lunghe, quegli appostamenti più sedentari in sorniona attesa della luce migliore. Una compagnia fidata per il verso impressionista o per il pensiero sedimentato, per il paesaggio come per l'architettura. Come una Moleskine di altri tempi.

Carlo Meazza è uomo abituato a queste fedeltà. Come un guerrigliero della fotografia ha viaggiato nel Terzo Mondo, in America Latina, nell'Africa profonda. Mai discostandosi troppo tuttavia dalle sue montagne e dai suoi laghi.
Sul Maggiore, questa volta è tornato, dove già altre volte era stato col suo bianco e nero, senza sconti e senza fronzoli, con la sua fotografia che mai fatto troppe concessioni al gusto e alla moda.

Si chiama Il più bel paese del mondo, il volume che Francesco Nastro Editore ha dato alle stampe per ricordare i vent'anni della scomparsa di Piero Chiara il figlio illustre che più di ogni altro ha cantato Luino e di riflesso ogni angolo di quel lago che nel suo porto, nei suoi portici, nelle sue ville vi si rispecchiava con quella malinconia suadente che il narratore sapeva giocare con la mossa del gran baro, con la fantasia spiegata, tesa come la vela, giocando di sponda di costa in costa, tra un biliardo e le donne, la letteratura e l'arte.

Meazza vi è tornato, rileggendo quanto scritto da Chiara; sapendolo fulminato, lo scrittore, in brevi, ma evidenti passaggi passaggi della sua opera – proprio dalla fotografia. E vi ha trovato anche quello che premeva a lui.

Non solo l'epopea baldanzosa del Paronzini, la contabilità sessuale del pretore Augusto Vanghetta, ma sopratutto che la "vita è un misterioso viaggio" come improvvisamente si rivela agli occhi del narratore de La stanza del Vescovo e come sembra pensare quel quasi Piero Chiara misterioso di spalle fotografato da Meazza su una panchina di fronte a lago al tramonto.

Luino è spesso deserta, raramente notturna, ma spesso lasciata da Carlo sola con i suoi simboli, così ben didascalizzati da Chiara. Il Caffè Clerici. Il Metropole. Il Garibaldi. Il Battello. La nebbia. Il vento. L'odore della Giuditta.
In calce al volume, presentato dalla usuale, pervasiva lettura di Carlo Zanzi, Meazza ha intervistato Marco Chiara. Il figlio dello scrittore, figura fin qui alquanto defilata, racconta di sé e del suo rapporto col padre.

Anche per questo contributo il libro ha un valore intrinseco. Sentimenti personali e filiali raccontati con estremo pudore. Una soglia che, ci piace pensare, solo un artista onesto e uno sguardo onesto, hanno potuto oltrepassare.