La Mostra di Palazzo Reale “Manet e la Parigi moderna”, che resterà aperta fino al 2 luglio prossimo, prodotta dal Comune di Milano con Mondo Mostre Skira, è stata curata da Guy Cogeval, storico presidente del Museo d’Orsay. Museo che, per l’occasione, ha prestato numerose opere.
L’esposizione è interessante e suggestiva e fa respirare a chi la visita l’atmosfera parigina di quei tempi. Ėdouard Manet è presente con 16 opere su tela e 11 disegni e acquerelli, affiancato da numerosi altri artisti della sua epoca, come Gaugin , Monet, Renoir, Signac, Tissot, Berthe Morisot, Boldini, Cézanne, Degas, Fantin-Latour.
Se è vero che viene ricostruito un certo clima culturale dell’epoca, è peraltro meno facile cogliere appieno l’originalità e la modernità di Manet. In realtà, Parigi resta il centro dell’esposizione a Palazzo Reale e ce lo confermano anche i titoli delle dieci sale nelle quali l’allestimento ha diviso il percorso della visita: Manet e la sua cerchia, Parigi città moderna, Sulle rive, “Natura inanimata”, “L’heure espagnole”, il volto nascosto di Parigi, L’Opéra, Parigi in festa. L’universo femminile. In bianco e …nero. Passante e il suo mistero.
Manet e la sua città
Peraltro, nessuno come Manet seppe cogliere le atmosfere della città che stava cambiando pelle e si preparava a diventare la “capitale delle capitali” sotto il suo simbolo per eccellenza, la Tour Eiffel, che sarebbe stata realizzata appena qualche anno dopo la sua morte.
Parigi, la rinata “Ville Lumiere”, era una città che cercava di dimenticare i bassifondi descritti da Hugo – spesso focolai di malavita e di movimenti di ribellione. Un contributo importante lo diedero gli interventi urbanistici del prefetto Haussmann che, sotto l’impulso di Napoleone III, smantellò i quartieri più degradati, cercando di separare la zona abitata da borghesi da quella dei ceti più poveri.
La ristrutturazione cambiò il volto della viabilità cittadina con la creazione di piazze e grandi boulevard, allo scopo, non tanto celato, di favorire eventualmente l’intervento della forza pubblica in caso di sommosse.
In ogni caso, Parigi era una città ricca di fermenti e novità, attenta alle innovazioni industriali (ricordiamo le edizioni delle Esposizioni universali del 1855, 1867,1878), pronta però all’occorrenza anche a divertirsi e vivere la bella vita, tra caffè, birrerie, brasserie, parchi, teatri, balli in maschera, feste, ecc.
Anche se il volto oscuro della città, quello dei poveri, dei vagabondi, delle prostitute non si può mai nascondere del tutto. Alcuni quartieri poi non rientrano nella smania di ristrutturazione del Barone Haussmann. E anche Manet lo sa, visto che talora di notte li frequenta.

Con Manet cambia lo sguardo dello spettatore
L’artista, d’altra parte, è testimone di tutta questa animazione che lo circonda, ma reagisce ad essa in modo piuttosto enigmatico. In sostanza, coglie l’impressione di frammenti della realtà, ma sembra che lo faccia quasi per caso e che tali pezzi, come quelli di un “puzzle” più complesso, restino isolati, senza che ad essi venga attribuito particolare significato.
Manet percepisce l’innovazione delle tecniche fotografiche. Cerca di approfittarne, imitandone l’oggettività ma al tempo stesso superandola. Dice bene il Direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina: “è l’insopprimibile impulso di catturare la poesia dell’attimo che passa, delle cose che mutano senza sosta.”
Per questo motivo, Manet ha un rapporto diverso con la luce; non “congelata” come nei fiamminghi, non “idealizzata” come in Bellini, non “viva ma immobile” come in Vermeer. La luce di Manet è luce spontanea, libera e la sua idea di bellezza non è quella assoluta ma quella “particolare” di un momento della vita colto nel suo divenire.
Gli inizi difficili di Manet
Non fu facile far capire ai contemporanei questa sua visione pittorica. Dal primo dipinto (“Déjeuner sur l’herbe”) giudicato inappropriato e scandaloso alla “Olympia” dove la donna si mostra imperturbabilmente nuda, con i sabot ai piedi.
Lui ci soffrì molto perché avrebbe voluto un posto nei Salons accademici, il riconoscimento più ambito per un esponente dell’alta borghesia come fu il pittore parigino.
Solo negli ultimi anni della sua vita (1881), con un ritardo che indubbiamente lo fece soffrire, l’avrebbero riabilitato consegnandoli una medaglia di seconda classe. Anche Degas che non gli fu proprio amico ebbe a dire dopo la sua scomparsa. “Era più grande di quanto pensassimo!”.
Chi fu davvero Manet?
Zola ci descrive così il suo viso: “Occhi stretti e profondi, bocca, caratteristica, sottile, mobile, dagli angoli un po’ beffardi. Il viso di una fine, intelligente irregolarità, annuncia l’agilità, l’audacia, il disprezzo per le banalità”. Abbiamo qualche ritratto dell’artista: quello realizzato da Fantin-Latour (non presente in mostra) e quello di Carolus-Duran.
Questo artista, bohemien, flâneur, dandy, un po’ eccentrico, rivoluzionario a modo suo, grande amico di poeti contemporanei maudit, come Baudelaire e Mallarmé, in fondo, restava un ricco borghese, in tuba e bastone, forse un po’ annoiato.

Eppure Manet fu un grande talento innovatore: ha rivoluzionato il linguaggio pittorico, fedele alla poetica dell’attimo, nella sua ricerca spasmodica di isolare sul nascere la natura della vita come pura esperienza fattuale. Così facendo ha saputo raccontare con i suoi colori accesi, i suoi neri spagnoleggianti, le pose austere distaccate dei suoi soggetti, l’epica della quotidianità, in una città in pieno fermento e sviluppo.

Manet e la Parigi moderna
Palazzo Reale – Milano
Dall’8 marzo al 2 luglio 2017
Produzione : Comune di Milano – Palazzo Reale – MondoMostre Skira
In collaborazione con il Musée d’Orsay e dell’Orangerie di Parigi
Info: www.palazzorealemilano.it – www.manetmilano.it