Un momento della conferenzaUn momento della conferenza

Come una redenzione – Vide la luce nel 1986, dopodiché scomparve nella dimenticanza. Stiamo parlando di un'opera monumentale e di grande impatto come "La Grande Natura", dello scultore faentino Carlo Zauli,  mai più esposta dopo l'XI Quadriennale romana, per la quale fu ideata e realizzata. L'hanno salvata dall'oblio Flaminio Gualdoni, che all'artista ha dedicato una monografia nella scorsa primavera a Torino, e la città di Legnano, rappresentata da Flavio Arensi, direttore di SALe. L'allestimento del lavoro di Zauli nel giardino di Palazzo Leone da Perego e l'analisi della produzione e personalità di uno dei più grandi scultori del Novecento odorano di redenzione. Già perché "su Zauli" – ha dichiarato Gualdoni in apertura alla conferenza tenutasi a Legnano mercoledì 11 novembre – "vige una sorta di dannazione, dovuta al fatto che l'artista abbia scelto la terra, cioè abbia voluto fare ceramica nella sua vita, e chissà perché nel mondo dell'arte italiano questo mestiere abbia un connotato negativo. Ce l'ha perché si porta dietro il retaggio delle avanguardie di inizio Novecento che avevano negato la qualità del saper fare, delle tecniche artigianali, in quanto limitative delle infinite possibilità creative derivanti dalla loro cancellazione. Zauli ha saputo scardinare questa presa di posizione." 

Ha scelto l'identità –  Gualdoni nella sua disamina ha specificato che nel nostro Paese raccontare la storia della ceramica del Novecento significa parlare di Arturo Martini, Attilio Fontana, Fausto Melotti, di Leoncillo e altri, ma inevitabilmente anche di Carlo Zauli. Perché nel panorama artistico del secolo scorso è stato uno dei pochi a fare una precisa scelta di campo: il fare ceramica, cioè l'identità italiana. "La lavorazione della terra ha una storia di 2500 anni, risale agli antichi Etruschi"- ha ribadito il critico d'arte – "e questo artista si è voluto consapevolmente prendere carico non semplicemente della tradizione artigianale italiana, ma del suo senso fondante, che è l'identità, perché è questo che le sue mani sapevano pensare".

L'opera di ZauliL'opera di Zauli

A partire dalla geometria – Sentendo e conoscendo il sapere della forma, non tanto la sua tradizione, Zauli ha compreso che la scultura nasce come architettura e che la terra informe ha infinite possibilità di essere tutto, anche l'essenziale. Ma come generare questa forma? Come modellare la terra? "Attraverso la geometria, disciplina che,  insegnano i migliori studiosi del Novecento" – ha evidenziato Gualdoni – "nasce per porre e non per levare. Ottimo, anche la ceramica nasce allo stesso modo. E' da questa serie di considerazioni che Zauli ha iniziato a creare le sue opere".

Ascoltando la terra – Il fare è preceduto da un'idea del formare: "Zauli aveva bene in mente questo concetto" – ha proseguito Gualdoni – "ma prima di piegare la terra al suo volere, l'ha ascoltata. Una volta affievolito il timore della complessità della forma in fieri, l'artista ha trovato i segni primi, le molecole attraverso cui la forma prende vita. Di qui ha abbandonato la geometria, cioè la regola razionalista che ordina la forma e lo spazio, conquistando la consapevolezza della zolla, cioè la componente molecolare della terra, per aggregare forme che solo lui è riuscito a realizzare. Ma la scelta della zolla giusta prevede anche la valutazione del suo giusto colore: è questa la pelle che relazionerà il corpo scultoreo alla luce e allo spazio in cui verrà collocato. "La Grande Natura", che trova ora collocazione nel giardino di Palazzo Leone da Perego, è l'emblema non solo di questa ultima considerazione, il bianco Zauli può essere infatti citato al pari del blu Klein e del rosa Fontana tra le invenzioni cromatiche del Novecento, ma di tutta la produzione artistica di uno dei più grandi scultori europei".