Vasto, echeggiante e simile ad una divinità”: così Sir. Thomas Edward Lawrence, il leggendario Lawrence d’Arabia, descrive il deserto del Wadi Rum, un territorio che conosceva bene.

Percorriamo la Valle della Luna per un intero pomeriggio, inseguendo i luoghi dove ha vissuto l’eroe schivo ed incompreso di questa storia: la Sorgente di Laurence, i resti della sua casa, i campi tendati, le piste di sabbia rossa che percorse, le gole impervie, le vallate infinite.

 

 

 

 

 

 

Sono veri e propri quadri di pietra e hanno la stessa luce delle immagini del kolossal diretto da David Lean nel 1962 che ha rappresentato un buon modo per raccontare una storia altrimenti sconosciuta in occidente, come spesso il cinema sapeva fare un tempo. Il film ebbe un successo grandioso e molti tornarono in sala a vederlo più volte. Si narra che uno spettatore avesse chiesto al botteghino d’ingresso: “Due biglietti, prego. Se possibile all’ombra!”. Infatti non si erano mai visti prima d’ora in Europa paesaggi tanto luminosi ed emozionanti come quelli ripresi dalla pellicola di Lean.

“Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte, nei ripostigli polverosi della loro mente, scoprono, al risveglio, la vanità di quelle immagini; ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché può darsi che recitino il loro sogno ad occhi aperti, per attuarlo. Fu ciò che io feci.”

Sono le parole dello stesso Lawrence, che in soli due anni, dal 1916 al 1918, riuscì a riorganizzare l’esercito arabo sotto il comando dell’emiro Feisal e a portarlo vittorioso fino a Damasco, ricompattando le tribù del deserto sotto un’unica guida. Un’impresa epica, mai vista prima d’allora. Alla fine della guerra, Lawrence raccontò gli avvenimenti di quegli anni in un libro che non è affatto un resoconto di battaglia. I Sette Pilastri della Saggezza ha una narrazione leggendaria, è ricco di fascino e di magia, un ritratto del mondo arabo dell’epoca, della sua gente e dei suoi misteri, sviscerato con gli occhi umili di chi ha cercato di comprenderlo, di “calarsi nel ruolo”. E’ però soprattutto il diario intimo di un uomo, forse uno degli ultimi eroi romantici, che fece sua la causa di un popolo, approfondendone le usanze e le dinamiche come forse nessun occidentale aveva mai fatto. Mettendosi dalla loro parte. Non per comandarli, ma per essere uno di loro e guidarli verso la libertà.

Purtroppo le sue intenzioni non furono comprese e il governo inglese sfruttò questa sua vittoria unicamente per consolidare la propria posizione nel Medio Oriente. E a Laurence non fu mai riconosciuta la nobiltà delle sue intenzioni in favore del Popolo del Deserto. Ma questa frase, che è l’incipit del suo libro, contiene una splendida e puntuale “ammissione” del ruolo di scrittore che egli seppe attribuirsi alla conclusione delle vicende, passando fatalmente dall’avventura alla letteratura: “Colui che recita ad occhi aperti il suo racconto, sgrana la propria vita come se fosse già narrazione e descrive quello che ha vissuto non come cronaca, ma come poesia”.

 

I Sette pilastri della Saggezza, Wadi Rum Desert, Giordan