Gallarate – Poco prima dell’inaugurazione della mostra fotografica «La cura e l’abbandono» incontriamo la fotografa Sara Gorlini, che racconta ai microfoni di ArteVarese il progetto sviluppato a partire dal 2017 ed oggi oggetto di una personale, ospitata dal Civico 3 di Gallarate.

Come nasce Sara l’idea di fotografare luoghi abbandonati tra Lombardia e Toscana? E perché hai intitolato la mostra con un titolo tanto suggestivo come «La cura e l’abbandono»?

Nella mia attività di fotografa amatoriale mi muovo tra Lombardia e Toscana per motivi biografici: abito qui e frequento molto la Toscana, dove ho tanti amici e dove ho un luogo di appoggio ormai da oltre dieci anni. In questa regione, che è un po’ la mia seconda casa, si trovano molti edifici abbandonati facilmente raggiungibili. Non a caso le fotografie realizzate per questo progetto raffigurano fabbriche e casali, quasi mangiati dalla natura. In Lombardia, invece, ho preferito realizzare la maggior parte degli scatti in centri urbani. Per quanto riguarda il titolo della mostra, prende spunto dal nome che ho dato anni fa ad una cartella contenenti i file delle fotografie oggi esposte. Se l’abbandono è una condizione umana che tutti viviamo nel corso della nostra vita, la cura di cui parlo in questa mostra è sicuramente quella che dò a questi edifici: torno negli anni a visitarli (dalle quattro alle otto o perfino alle dodici volte) per vedere cosa succede nel tempo ai luoghi e mi sembra che questo sia il mio gesto di cura nei loro confronti. Testimonio con le fotografie quello che accade con il passare del tempo a questi spazi, che non appaiono mai nelle stesse condizioni. L’esposizione inoltre è itinerante; infatti dopo aver avuto una prima tappa ad Arona a ottobre dell’anno scorso ora approda a Gallarate. Anche l’allestimento non è definitivo: per il Civico 3, ad esempio, ho aggiunto tre scatti realizzati in una fabbrica che mi ha fatto conoscere Betty Colombo.

Perché le foto di questo progetto sono esclusivamente in bianco e nero? E cosa ti ha spinto ad inserire i burattini di Chicco Colombo in diversi scatti?

Il mio modo di fotografare vede prevalere il bianco e nero che secondo me rende molto di più l’emozione. Da un punto di vista tecnico, il colore, che a volte uso per i miei lavori, porta disattenzione, mentre il bianco nero esalta le luci, le ombre, i tratti ammorbidendoli o drammatizzandoli. Lo considero il mio linguaggio preferito da quando ho iniziato a fotografare, nel 2017. Infatti pur amando la fotografia fin da bambina – ricordo ancora quando maneggiavo i rullini e li portavo dal fotografo – solo da adulta ho sperimentato il medium fotografico. Diversi anni fa con Norma, una delle socie del Civico 3, mi sono iscritta ad un corso base di fotografia e da lì ho avuto una sorta di folgorazione. L’idea poi di includere i burattini all’interno delle fotografie è nata da una chiacchierata con Chicco e Betty Colombo nel momento in cui prendeva forma il progetto della mostra. Sono tornata in tutte le location che avevo fotografato e ho rifatto ex novo gli scatti, inserendo i sette burattini di Chicco Colombo a simboleggiare una presenza vitale che c’è stata ed è ancora presente nei ricordi di chi ha vissuto quei luoghi abbandonati.

La mostra, allestita nella sede di via Pretura 3,  proseguirà sino al 27 febbraio e sarà visitabile sabato e domenica  nei seguenti orari: 10.30 – 12.30 e 15 – 19 e tutti i pomeriggi su appuntamento.

 

Eleonora Manzo