Artevarese incontra Suzy ShammahArtevarese incontra Suzy Shammah

L'accordo per questa intervista è stato tutt'altro che semplice.
L'intervistata, legittimamente, sosteneva il timore di dovere rispondere alle solite domande e di non avere, di conseguenza, nulla da aggiungere oltre a quello che aveva in altre circostanze già detto.
L'intervistatore, altrettanto legittimamente, sosteneva che la qualità di un'intervista dipende sì dalla qualità delle risposte, ma anche dalla qualità delle domande.

E così, come conseguenza ad una misurata insistenza dell'intervistatore, la Signora in questione acconsentiva con gentilezza a raccontare la propria esperienza professionale.
In tale frangente, vestire i panni di araldo della soglia toccava a Manuela Nebuloni, preziosa collaboratrice della gallerista Suzy Shammah.

"Iniziamo dal ricordo della prima mostra".
"Indubbiamente bello, ho venduto tutto nei primi cinque minuti. C'era molta gente, la strada era chiusa e il performer giapponese Shintaro Miyake, vestito da minotauro, scorazzava dappertutto a piedi nudi, nonostante fosse gennaio".

"Lei riesce a far succedere – e in alcuni casi a far convivere senza strappi – mostre di fotografia, pittura e scultura, come spiega questa alchimia?"
"Ho fatto studi di biologia, sono arrivata all'arte per passione e ho sempre fatto questo lavoro seguendo linee intuitive. Mi sono affidata un po' all'idea della spirale, quindi ogni mostra copre un cerchio di una ricerca di senso e l'idea è che ognuna di queste mostre, anche attraverso midia diversi, possa esprimere un segmento di questa spirale".

Artevarese incontra Suzy ShammahArtevarese incontra Suzy Shammah

"Facciamo un gioco: se lei decidesse di diventare artista quale disciplina sceglierebbe per comunicare la sua creatività?"
"Non potrei permettermelo: il mio carattere non mi permette di fare questo gioco. Mi trovo molto bene da questa parte, ma credo che dall'altra parte non avrei nulla da dire. Poi, soprattutto, penso che la creatività sia un talento che un artista possiede naturalmente; è un gioco di immaginazione per me inarrivabile".

"A differenza di qualche tempo fa, lei crede che l'arte possa ancora essere socialmente e politicamente militante?"
"Da giovane studente ho fatto esperienza politica e di conseguenza la politica è entrata nella mia vita in modo molto forte con tutti gli aspetti positivi e negativi, perché sono stati anni difficili che hanno segnato la vita di molte persone. Comunque non è questo l'aspetto che mi interessa, anche se la consapevolezza che tutto è politica rimane. Ma quando, ad esempio, si ha a che fare con qualcosa di molto forte come il fuoco, la deduzione è che il fuoco non è politico, è un mediatore assoluto. Per me l'arte dovrebbe avere il senso di arrivare al cuore delle persone, indipendentemente dalle ideologie".

"Lei ha identificato questo spazio espositivo con il suo nome".
"Per come intendevo condurre il mio lavoro, credo non ci potesse essere altra scelta. Poi ho la fortuna di avere un bel nome…", afferma sorridendo.

Artevarese incontra Suzy ShammahArtevarese incontra Suzy Shammah

"Le chiedo di parlare, a scelta, di tre artisti".
"Parlo della mostra che ho in corso di Carlo Benvenuto. Credo sia uno tra i più importanti artisti italiani, ingiustamente dimenticato dalla critica. O, forse, più che dimenticato, non compreso. Trovo straordinaria la sua ricerca della trasparenza assoluta: il lavoro di Carlo offre una concezione del mondo molto vicina alla visione antica indiana, all'idea del divino presente in tutte le cose. Ciò che non è qui non è altrove, ciò che è qui è anche altrove".

"Un altro nome".
"Mario Della Vedova. Anche lui lavora sulla leggerezza che è un tema a me molto caro, forse perché io non la possiedo – sorride ancora – E quindi la ricerco nei lavori dei miei artisti. Ad esempio l'idea dei sacchi della Bramata Oro ha avuto nella mente dell'artista una genesi lunga. Si tratta di un lavoro, al di là delle apparenze, molto complesso e anche ironico. Questi sacchetti di polenta hanno aspetti estetici, grafici e di colore, ma visti e considerati più in profondità portano al significato della situazione dell'Italia tra le due Guerre, alla povertà, al tempo in cui la polenta era l'unico cibo vitale e fondamentale per molte persone. Da lì si giunge ad un significato altro: il nutrimento spirituale dell'arte, forse ugualmente necessario".

"Un artista straniero?"
"Daniel Silver. Il suo è un lavoro inconscio, le sue forme esprimono emozioni profonde, parlano della sue ossessioni nei confronti della scultura, anche classica. Daniel cerca di compiere, come nella classicità, il ruolo di sottrazione che svolge il tempo; dagli archetipi della scultura primitiva cerca di elaborare fisionomie che sembrano portare a forme tribali, molto palpitanti".

NOTA PER IL LETTORE
Di ben altro tenore saranno le tematiche del prossimo incontro: riguarderanno la degustazione di dolci fatti in casa in quel lembo di territorio che, nella Romagna profonda, va da Sant'Arcangelo a Roncofreddo.