Dire che ci ha fatto ridere è decisamente riduttivo. Sarebbe come dire che Dracula ci ha fatto solo paura, Pinocchio solo riflettere, e Peter Pan solo sognare. Fantozzi, personaggio simbolo di Paolo Villaggio, ci ha regalato molto di più. Nel pieno degli anni Settanta, quando la grande commedia declinava sotto i colpi di un’Italia diversa, sempre più cupa, estremista e violenta, il ragioniere esplose come un ordigno carico di sarcasmo e perfidia, meschinità e umorismo.
 Dire che ci ha fatto ridere è decisamente riduttivo. Sarebbe come dire che Dracula ci ha fatto solo paura, Pinocchio solo riflettere, e Peter Pan solo sognare. Fantozzi, personaggio simbolo di Paolo Villaggio, ci ha regalato molto di più. Nel pieno degli anni Settanta, quando la grande commedia declinava sotto i colpi di un’Italia diversa, sempre più cupa, estremista e violenta, il ragioniere esplose come un ordigno carico di sarcasmo e perfidia, meschinità e umorismo. Nelle vessazioni piccolo borghesi di Ugo, della moglie Pina e dell’orrenda figlia Mariangela, dalle pagine di un geniale libro prima, al grande schermo poi, grazie all’intesa col presto dimenticato Luciano Salce, Villaggio racchiuse la malandata italianità espressa attraverso il mezzuccio, l’inganno di infimo calibro, le ristrette vedute di un microcosmo (l’Italisider, dove l’attore aveva lavorato) pieno zeppo di umani ma del tutto privo di umanità. In quel palazzone, l’autore-protagonista giocò la forza delle iperboli, traducendo il reale in grottesco, ingigantendone l’effetto, senza però tradirne la natura, un po’ come aveva fatto Dostoevskij nel capolavoro Il Sosia, dalle cui pagine è possibile cogliere più di un’ispirazione. Il potere ostentato e volgare, la vigliaccheria e il servilismo, sono cifre di una sottocultura che ha guidato, condizionato e in un certo senso cementato una certa parte della nostra società. Vizi e magagne che Villaggio volle smascherare e deridere, aiutandoci ad esorcizzarle. La crocifissione in sala mensa, il grande capo coi mille titoli impressi sulla targa, le poltrone in pelle umana, l’acquario dei dipendenti, sono spunti geniali, bagaglio tragicomico che ci accompagna da più di 40 anni e che col tempo si è purtroppo stemperato in un oceano di inutili seguiti girati unicamente a scopo alimentare. Ciononostante, la potenza caricaturale e insieme evocativa di quelle maschere continua a dominare l’immaginario collettivo, avendone inciso profondamente la cultura popolare, al pari delle metafore pirandelliane. E noi, all’occorrenza, continuiamo a sfoderare le sue battute e a ricordare le sue gag. Per sdrammatizzare e farci una risata, sì, ma anche per difenderci un po’. Perché in tutti noi, anche se detestiamo ammetterlo, c’è un po’ di Fantozzi. E tutti noi, almeno una volta, abbiamo sognato di vivere quegli attimi di rivalsa: così liberatoria, così divertente. E così magnificamente umana.

Matteo Inzaghi