Finta finestra con uomo che legge

Miasino –  Si arriva per breve e piacevole salita dalla riva di Orta e quando si è lì, camminando lungo antiche strade selciate a ciottoli e costeggiate da scuri palazzi seicenteschi o da case con rustici loggiati intorno alle corti, sembra di essere fuori dal tempo. Vi domina un silenzio arcano, vegliato da uomini pensosi o intenti alla lettura che fan capolino da finte finestre dipinte, un silenzio che sa di una storia fatta di terre e di case lasciate, di ricchezze costruite, di incontri carichi di nostalgia per il paese natio e del desiderio, forte, di tornarvi.

Domina sul paese la monumentale chiesa di San Rocco, addirittura progettata dal Richini, l’architetto della Fabbrica del Duomo. È chiusa, come tante altre ormai in questi paesi, e dunque non può lasciar vedere i numerosi tesori di cui l’arricchirono i miasinesi del Sei e Settecento emigrati a Lucca o a Milano a fare gli osti. Son tele e affreschi di egregi pittori e poi paliotti e paramenti di damasco, preziosi e costosi, commissionati per essere testimonianza imperitura della fortuna e del prestigio acquisiti da quegli uomini faticando a gestire locande dai nomi invitanti: della Luna e del Sole, della Campana, fin della Pantera…

 

Il mortorio e la chiesa di San Rocco

Quando la strada si slarga e lascia vedere l’imponenza di San Rocco fa da guida un ossario  dove un cartello avvisa ora: “attenzione, pericolo”. È uno dei numerosi che si incontrano nei paesi della Riviera d’Orta, ha forme elegantemente mosse e lo chiudono due griglie in ferro battuto dove il fabbro ha variato sul tema della voluta proprio da gran virtuoso. All’interno affreschi, opera di un capace pittore settecentesco, a ricordare il “memento mori” e una marmorea lapide per far sapere che Carlo Giuseppe Rizzini, uno degli osti di Lucca, “a fundamentis erexit MDCCXLVIII”.

Il paese ha il cuore nella piazzetta del Municipio resa distinta dall’oratorio della Vergine con la sua facciata un po’ bizzarra e da un aulico palazzo di giusta misura e rigoroso aspetto allungato su tutta una fronte. Si capisce che a innalzarlo dovette essere una famiglia ragguardevole e interessata alle Lettere tanto da voler dipinte sopra le finestre del piano nobile le figure di Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Era quella dei Martelli, una delle più onorevoli del lago d’Orta, annoverando lungo i secoli personaggi di spicco: preti, avvocati, poeti e, ovviamente, osti.

Casa Martelli, Nigra

Questa dimora all’inizio doveva essere solo un blocco a cui poi s’addossò verso la corte un duplice loggiato scandito da robuste colonne di granito, ma arioso e luminoso e con affreschi decorativi dipinti sulle volte. Fosse rimasto così il palazzo verrebbe da segnalarlo solo come ragguardevole esempio di abitazione signorile, ma ci pensarono i Martelli del Settecento (e ancora l’architetto Carlo Nigra nel secolo scorso) a trasformarlo in villa di delizia aggiungendovi altri corpi le cui facciate sono tutte pittorescamente invase da “architetture dell’inganno”.

Una facciata decorata di casa Martelli, Nigra

Sconosciuto il quadratore che le dipinse ma si dovrebbe cercarlo fra quelli che nel Settecento erano impegnati a decorare chiese, mortori e palazzi nei borghi della Riviera; certo non si può dire che gli mancassero cultura e capacità nel dipingere abilmente in prospettiva cornici fastose intorno a porte e finestre di barocchetta grazia  e, anche qui, busti, ma di chissà chi(per questi ultimi occorrerà pensare tuttavia a un collaboratore esperto nella figura).

In un cartiglio srotolato nella meridiana l’artefice volle aggiungere una saggia scritta: “umbram adspice et videbis” mentre sull’aranciera che definisce la corte e apre verso il giardino affrescò robusti mensoloni per simulare un sostegno possente dell’aereo terrazzo da dove i Martelli e i loro ospiti ammiravano la vista emozionante del lago silente e della cornice armonica dei monti che lo circondano.

Giuseppe Pacciarotti