Copertina libro 'Ileana Sonnabend'Copertina libro
 'Ileana Sonnabend'

Da un'amicizia – Martedì scorso nella Sala Polivalente del Comune di Daverio, Manuela Gandini, giornalista, curatrice e critica d'arte contemporanea, ha presentato "Ileana Sonnabend. The Queen of art", monografia sulla vita della gallerista più famosa al mondo, frutto di circa due anni di conversazioni intrattenute dall'autrice con Ileana e i suoi artisti. L'idea di raccontare le vicende biografiche di una donna che per anni ha determinato l'andamento del mercato mondiale dell'arte nasce da un'amicizia, quella di Manuela con il noto gallerista Leo Castelli, tramite attraverso cui giunse solo in un secondo momento a Ileana, donna riservata, schiva e silenziosa.

Tra due mondi – Ileana nacque in Romania il 28 ottobre del 1914 da genitori ebrei ricchissimi: il padre, Mijael Shapiro, era un potente industriale, molto colto e buono, la madre un'attivista ebrea che Ileana ricorda, tra le molte cose, per averle fatto vivere un'infanzia sospesa tra due mondi: quello quotidiano alto borghese, in cui mangiare caviale a cucchiaiate e andare a teatro erano una normalità, e quello dell'asilo-scuola che la stessa madre aveva fondato in Romania per bambini poveri e/o orfani, in cui povertà, pidocchi e cibo rancido erano ugualmente all'ordine del giorno. Due realtà diametralmente opposte e comunque entrambe parte della vita di Ileana, almeno fino a quando non incontrò l'assicuratore triestino che le rubò il cuore e che poi sposò: Leo Castelli. Come regalo di nozze Ileana non chiese il classico gioiello, ma un piccolo quadro di Matisse, fatto che testimonia un amore per l'arte che la neosposa aveva scoperto in realtà molto prima del matrimonio, all'età di otto anni.

Il destino in una minuscola ghianda
– Fu a Vienna, dove si era recata con madre e sorella, che Ileana ebbe la prima folgorazione: a soli otto anni si fece accompagnare dalla balia al Kunsthistorisches Museum, dove rimase per un'intera giornata affascinata dagli oggetti d'arte collocativi all'interno. Questo fu il primo disvelarsi di un destino, di un percorso esistenziale votato totalmente all'arte. Un segno che è divenuto il centro, la tesi intorno alla quale la Gandini ha costruito le pagine biografiche della gallerista, come lei stessa ha dichiarato: "ognuno di noi ha dentro di sé un daimon, una caratteristica, un'immagine che tanto più viene percepita e sviluppata dalla persona che la possiede, tanto più questa si realizza ed è felice". In virtù di questa ipotesi che trae origine da Platone le pagine del libro si aprono con le parole di James Hillman: l'immagine di un intero destino sta tutta stipata in una minuscola ghianda, seme di una quercia enorme su esili spalle. […].

Il vero inizio: a New York con Leo – L'esperienza di Vienna e il regalo di nozze non sono che episodi sporadici e contenuti se rapportati alla grande esperienza che Ileana visse a New York con il marito Leo Castelli, ricco borghese ebreo, molto colto, appassionato soprattutto di letteratura. Scappati dalle persecuzioni naziste che coinvolsero Parigi dove vissero durante la seconda guerra mondiale, trovarono rifugio negli Stati Uniti, il Paese che per Ileana e l'arte in generale rappresentò l'inizio di una nuova era. Il silenzio di Ileana, il suo vivere all'ombra di un marito socievole e brillante come Castelli, non le preclusero mai la possibilità di entrare in contatto con gli artisti americani che negli anni Cinquanta cercavano una strada che li rendesse indipendenti dall'arte europea. Gli espressionisti astratti, cioè Pollock, De Kooning, o Rothko, che Castelli sostenne nella sua galleria di New York, divennero amici anche di Ileana che pur rimanendo spesso in disparte nello spazio espositivo del marito maturò una sua coscienza artistica, dimostrandosi spesso capace di acute e precise osservazioni sull'arte ospitata in galleria. Proprio questa sua passione mai clamorosa, ma assolutamente attenta, proprio il suo spirito intuitivo avrebbero rivelato la vera natura di questa donna. Fu Ileana, non Castelli, la vera scopritrice di Andy Warhol, così come la vera sostenitrice di Bob Rauschenberg e Jasper Johns, esponenti della pop art, che ebbero il coraggio di mettere a nudo i perversi ingranaggi del consumismo, preambolo dell'era della globalizzazione nella quale viviamo.

Manuela GandiniManuela Gandini

Una regina dell'arte – La decisione di lasciare Leo, troppo libertino, e l'incontro con Michael Sonnabend, da cui acquisì il cognome, dopo averlo sposato, fecero il resto. La Sonnabend intuì giustamente che la pop art avrebbe avuto molto più successo fuori dagli Usa che non all'interno, fu così che aprì contatti con galleristi e artisti pop a Roma, ed una galleria a Parigi nel 1962 con il secondo marito, cui sarebbe seguita l'inaugurazione di un altro spazio espositivo a New York in un tempo in cui i viaggi intercontinentali non erano certamente all'ordine del giorno come oggi. L'emancipazione dal primo marito e il matrimonio con Michael segnarono un nuovo inizio, quello della sua ascesa come gallerista, riconosciuta da tutti come "The Queen of art", capace di indirizzare il mercato dell'arte mondiale, di ottenere la piena fiducia degli artisti e di scegliere ella stessa i collezionisti, non il contrario.

Approcci diversi in un sodalizio lungo una vita – L'intuizione e l'intelligenza di questa donna furono tali, da portarla a non recidere mai il rapporto con Castelli, che da sentimentale si trasformò in lavorativo. Strenui sostenitori della pop art, anche nei più momenti difficili del mercato mondiale, insieme portarono avanti un sodalizio che durò una vita intera e fu tanto ricco e strepitoso, proprio perché vissuto da loro, due personalità agli antipodi nel carattere e nell'approccio all'arte contemporanea, un approccio che si rivelò rivolto al bello, al classico e allo statico nel caso del socievole Leo Castelli, ed effervescente, dinamico, stravagante e aperto all'avanguardia del minimalismo, dell'arte povera, della Neo Geo e della fotografia orientale nel caso della silente e precisa Ileana Sonnabend.

Tra romanzo e storia collettiva – La biografia che la Gandini propone è talmente ricca di aneddoti e peripezie da sfiorare il genere romanzo, "non per scelta stilistica", dichiara l'autrice, "ma perché la vita di Ileana e i mondi con i quali interagì furono davvero al limite del romanzesco. E d'altro canto la sua intensa vita non fa altro che rispecchiare una storia che è di tutti, la Sonnabend ha infatti vissuto i momenti più significativi del Novecento, dalla prima guerra mondiale al crollo delle Torri gemelle ed è stata autrice di un mondo dell'arte di cui molti di noi sono stati partecipi, avendo visto oppure conosciuto gli artisti nei quali lei stessa ripose la sua fiducia".

L'antico valore dell'arte e dei galleristi – Le pagine scritte da Manuela non conservano solo il ricordo di una donna che con le sue scelte impose un nuovo tipo di arte, quella americana, a livello mondiale, esse offrono anche un modello attraverso cui confrontare il "vecchio" sistema dell'arte con quello attuale. Con la morte di Ileana si chiude l'era del gallerista nobile e romantico che sostiene un certo tipo di arte, a prescindere dal suo valore economico; l'epoca della Sonnabend fu quella in cui opere e performance avevano un contenuto tale da influenzare, se non addirittura modificare, la visione della società e dei costumi, e il gallerista sosteneva questo tipo di arte. Oggi la logica del sistema arte è diverso: il ruolo dell'opera e del gallerista si è svuotato, lo scopo è quello di fare soldi, ma se si veicola denaro anziché cultura, ha senso ancora definire un atto estetico arte?