Il Cenacolo di Leonardo è una delle opere più famose al mondo. Si trova nel Refettorio della quattrocentesca chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano.

E’ molto difficile vederlo: bisogna prenotare la visita con largo anticipo, quindi affrontare una lunga coda e visionare la splendida opera con un ritmo stabilito dall’affollamento più che dal desiderio di respirare la Vera Arte.

Si può, però, saziare questo bisogno anche contemplando una bella copia dell’Ultima Cena che si trova a Ponte Capriasca, in Ticino, nella chiesa neoclassica di Sant’Ambrogio.
L’opera, ottimamente conservata, luminosa nei colori, ricca di tanti particolari ormai invisibili nell’originale, aspetta i visitatori. Silenziosa.
E’ ancora avvolta dal mistero, perché le attribuzioni sono molte, ma nessuna certa e documentata.

Ma partiamo dall’inizio: Leonardo realizzò il suo Cenacolo tra il 1495 e il 1498, con l’intento di celebrare la famiglia Sforza. Un dipinto meraviglioso, ricco di significato, che costituì una svolta significativa nella storia dell’arte religiosa.
L’artista, infatti, fedele a se stesso e alla sua genialità, seppe dare una lettura del tutto innovativa del momento rappresentato, scuotendo con forza quella che era la tradizione iconografica del tempo.

Leonardo fissa l’attimo in cui Gesù dice: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà» e mostra la reazione degli apostoli, in una visione d’insieme molto dinamica. I personaggi della scena non sono ieratici, statici, come accadeva nella tradizione pittorica precedente. Mostrano l’istintiva reazione a quanto dice il Signore, la loro personalità e gestualità.

Il Cenacolo è un’icona: molti artisti si sono confrontati con la sua drammaticità e naturalezza. Uno dei primi a farlo è stato sicuramente quell’artista che, dopo aver lavorato con il maestro nel Refettorio milanese, raggiunse la chiesa di Ponte Capriasca e realizzò la sua copia di sette metri di lunghezza sulla parete occidentale dell’edificio.

Ma chi era? La prima attribuzione del dipinto ticinese risale al 1735: gli esperti pensarono a Cesare da Sesto, fedele seguace di Leonardo e parte dei cosiddetti ‘leonardeschi’. Un artista che, viaggiando per l’Italia, seppe diffondere lo stile del maestro anche in aree da lui mai toccate, come il Meridione.

Un altro possibile autore è Giovan Pietro Rizzoli, detto il Giampietrino, che avrebbe assistito Leonardo nella realizzazione del Cenacolo nel refettorio di Santa Maria delle Grazie e probabilmente realizzò la copia dell’Ultima Cena oggi di proprietà della Royal Academy di Londra ed esposta al Magdalen College di Oxford.

Si è pensato anche a un anonimo riferibile all’ambito della bottega di Bernardino Luini. Luini fu autore di uno dei capolavori del primo Rinascimento: la Passione e Crocifissione, custodita nella chiesa di Santa Maria degli Angioli a Lugano. E’ stato quindi ipotizzato che l’artista di Ponte Capriasca fosse suo figlio Pietro.

Nel tempo si sono fatti tanti nomi di possibili autori, tra i quali anche Francesco Melzi e Marco d’Oggione, che erano discepoli di Leonardo, e Gian Battista Tarilli di Cureglia.

Ma il mistero permane e ammanta di un fascino ancora maggiore quest’opera: lo sguardo attonito di Tommaso, lo stupore di Filippo e Matteo. La tanto umana agitazione, intorno alla sacralità di Gesù, che sa di dover morire.

Nella raffigurazione si rivelano inoltre numerosi particolari non più visibili sull’opera di Leonardo, che potrebbero gettare nuova luce sull’originale. Vediamo i piedi di tutti i commensali, i loro nomi – scritti con ordine sulla cornice sottostante – e due sfondi inediti: a sinistra il Sacrificio di Isacco e a destra la Preghiera di Gesù nell’orto dei Getsemani.

Quest’opera, di mirabile fattura, non ha subito gli stessi danneggiamenti del Cenacolo di Leonardo, che  durante la dominazione napoleonica venne trasformato in una stalla e, negli anni della seconda Guerra Mondiale, venne coperto con uno strato di pittura e sacchi per essere protetto dai bombardamenti.

Il Cenacolo di Ponte Capriasca è stato restaurato nel 1993 grazie al contributo della fondazione Kottmann. Oggi aspetta. Il turismo quasi non lo disturba. Sta a noi raggiungerlo.

Chiara Ambrosioni