Sono passati dieci giorni dall’alba del 14 settembre 2019, quando “America” – la nota opera dell’artista concettuale italiano Maurizio Cattelan – è stata rubata alla Blenheim Art Foundation di Woodstock nel Regno Unito, a due giorni dall’inaugurazione della mostra. Incuriositi dall’accaduto, che si potrebbe definire “surrealista”, mentre le indagini per recuperare la tazza dorata sono ancora in corso, abbiamo chiesto al Professor Paolo Giansiracusa – storico dell’arte e accademico di fama internazionale – un’intervista sulla celeberrima toilette in oro 18 carati stimata un milione di sterline.

Una domanda schietta: cosa ne pensa del furto del gabinetto d’oro di Cattelan?
«Ad essere buono penso che si tratti di una trovata pubblicitaria. Un po’ come quella che accompagna i fidanzati illustri di certe veline. L’amore (si fa per dire) dura una notte ma fa tanto di quel rumore che la velina il giorno dopo acquista medaglie e diventa presentatrice o addirittura deputata al parlamento.  Ormai il metodo è sperimentato: quando ti accorgi che la patina del similoro si va ossidando, si ricorre ad una passata di brillantante e così l’oggetto insignificante torna ad essere luccicante, come prima, più di prima. È un metodo a cui sono costretti a ricorrere però tutti i “metalli” che si ossidano, i “metalli” scadenti che fanno la ruggine anche con un insignificante velo d’umido. Al metallo nobile (all’arte vera) non succede. L’Arte non teme l’umidità, brilla sempre per il suo valore espressivo, per la sua qualità tecnica, per il suo carattere stilistico, per la grammatica che ne regge la struttura e la forma, il colore e il segno, la materia e lo spazio. Le balordaggini purtroppo hanno il problema di ridarsi la corda ogni mattina, come i vecchi orologi a cucù. Ecco dunque che per riprendere quota mediatica, per ritornare nel giro delle nuvole e il fumo, ci vuole uno scandalo, un furto, una bravata, un rumore così forte da far girare tutti. Alla fine però girandoci per capire ci accorgiamo che non c’è nulla da comprendere; ciò che si percepisce e amareggia è un grande vuoto tenuto in tensione da colossali meteorismi che prendono la forma di prese per i fondelli».

I ladri hanno fatto il “colpo grosso”?
«Penso di sì ma sto pensando a tutt’altro, rispetto a quello che lei intende, e me ne scuso.  Colpo grosso per chi? Per chi ha messo in piedi la possibile montatura o per chi ha sottratto il “capolavoro”? Se c’è una finzione ben congegnata il colpo grosso l’ha fatto chi ha costruito la notizia, se siamo davanti ad un furto vero il ladro ha commesso un gravissimo errore. In prima istanza non ha previsto che l’oggetto è invendibile e quindi non troverà acquirenti che possano rilevarlo. Ammesso poi che voglia venderlo come metallo da fondere, potrebbe avere la triste delusione di apprendere che forse la lega non è quella sperata. E in ogni caso volendo rimetterlo in commercio vale più per ciò che sembra e non per ciò che è. Questo è nel destino di molti manufatti della cosiddetta arte contemporanea, se si scopre che il re è nudo, si conosce la fine della barzelletta. Ci si fa una gran risata e si lascia lievitare la sorpresa per un’altra “trovatona”. Però il ripetersi di certe “sfilate” con abiti inesistenti hanno smaliziato a tal punto il pubblico che a crederci, paradossalmente, sono rimasti i sarti magici e il povero sovrano. Cosa resterà? Un bel nulla. Si sciolgono i ghiacciai che pure c’erano, figurarsi ciò che non è mai esistito».

Qual è il suo pensiero sull’opera in sé invece?
«Opera? È una parola grossa. Per opera intendo Norma di Vincenzo BelliniGuernica di Pablo PicassoVilla Savoye di Le Corbusier… cioè qualcosa di complesso che in sintesi rappresenta il pensiero del proprio tempo. Dopo l’orinatoio di Duchamp e il ferro da stiro di Man Ray, tutto il resto è noia, poiché si tratta di una ripetizione stressante, insopportabile. Nel vocabolario la parola acqua è scritta una volta, non dieci, cento, mille volte. Una volta vale l’invenzione del termine. Ripeterlo, volendo far sembrare che sia nuovo, significa non avere rispetto per l’intelligenza umana. Dada è morto! L’anticonformismo, la ribellione, la contestazione, valgono all’interno di uno spazio temporale strettissimo. Poi bisogna subito ritornare a costruire, a creare spazi e forme di civiltà. Quindi, cosa ne penso? Ne penso male, perché nel tempo del recupero dei valori, nel tempo della liberazione del mondo dalla plastica e dall’inquinamento, nel tempo della ricerca di sistemi di sfruttamento di energie eoliche e solari, nel tempo del dramma quotidiano costituito dalla spazzatura che ci sommerge, nel tempo del dolore che attanaglia il Mediterraneo, diventato la tomba fisica e morale dell’Africa, suonano male certe trovate. Vedo l’artista del nostro tempo sulla barricata del dolore e non sulla cresta d’oro del potere!»

Se lo ricorda il film Le vacanze intelligenti in cui Alberto Sordi va in vacanza alla Biennale di Venezia?
«Lo ricordo con piacere e ancora oggi a pensarci mi viene da ridere. La cosiddetta body art ha contaminato il campo dell’arte con forme di spaesamento che sfiorano i drammi della psichiatria. La gente non sa come comportarsi e a volte anche tra addetti ai lavori c’è un forte imbarazzo. Che fare? Lo dico? Sto zitto? Faccio finta d’aver capito e passo avanti? Così, tutti a far corteo attorno alle stupidità, alle scempiaggini, al nulla. Purtroppo siamo arrivati al punto di non ritorno. Ci si stupisce, e se ne discute per giorni, dell’amore tradito della modella slovena e si passa indifferenti davanti al mal capitato investito per strada. Ci si tuffa a fare la fotografia o il video del dramma che si sta consumando davanti ai nostri occhi e non si alza un dito per fermarlo. Siamo spettatori assurdi di un non luogo. Fotografiamo, documentiamo immagini che diventano più importanti del soggetto ripreso. Ci fermiamo all’epidermide o ci accontentiamo dell’espressione della vita-giocattolo. Si pensi in tal senso a tutto l’interesse sacrosanto per gli animali che non è bilanciato con quello riservato agli uomini. L’uomo deve rivedersi dentro l’armadio del suo essere per mettere ordine ai valori, alle priorità. L’uomo deve ritornare alla sostanza delle cose quotidiane per rispettarne l’essenza. L’artista in tale contesto non può fuggire, deve scontrarsi con i problemi e tentarne la soluzione. Non c’è l’arte dove un anatroccolo di plastica si batte per milioni di euro, non c’è l’arte dove l’oggetto (non l’opera) sfugge all’equilibrio generale del sistema che è fatto da tutti e non solo da quelli che vivono dentro la cassaforte di zio Paperone».

Biografia
Paolo Giansiracusa è docente ordinario universitario di Storia dell’Arte Contemporanea. È titolare della prima cattedra di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Catania. Dirige il Polo Museale della Città di Troina dove sono custodite opere di Tiziano, Scipione Pulzone e i seguaci di Antonello da Messina. È Direttore del Museo Civico d’Arte Contemporanea di Floridia ed è stato insignito della laurea honoris causa dall’Accademia di Belle Arti Albertina di Torino. È componente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico e ha pubblicato numerose monografie d’arte con gli editori Fabbri Bompiani e altri. Ha tenuto lezioni sull’arte moderna e contemporanea per diverse università negli USA, in Irlanda, a Malta.

Daniela Gulino