Invece di stare seduti sulle panchine del lungomare col solito romanzetto comprato all’edicola della stazione prima di partire per le vacanze, converrà passare in libreria e cercare il volume di Harry Bellet dal titolo Falsari illustri, da poco pubblicato in agile veste dalla casa editrice Skira. Non ci si pentirà perché il libro, oltre ad essere informatissimo, è di lettura agevole e pure avvincente. E illumina su tante cose, innanzitutto sulla figura del vero falsario “artista fallito, ma …geniale che riesce a ingannare studiosi e intenditori e passa per un eroe, una sorta di Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo”. Non proprio a torto visto quali e quanti modi escogita per gabbare collezionisti, mercanti, storici dell’arte, tutti di gran nome e, almeno per le prime due categorie, anche di grandi mezzi. Son proprio tanti fra questi signori che ci cascano, salvo poi dover fare, almeno in molti casi, dietro-front e conseguenti figuracce.
Bellet ricorda, per esempio, il “casus” scoppiato a Livorno sulle sculture rinvenute in un canale ed entusiasticamente assegnate al giovane Modigliani. Aggettivi tutti al superlativo sprecati dai più autorevoli critici internazionali. Ma poi si venne a scoprire che era una beffa inventata da quattro giovani mattacchioni che col Black & Decker avevano dato vaghe sembianze a quattro pietre…Finì che la tripudiante direttrice del museo locale finì in ospedale e ci rimase per molto e suo fratello, serio studioso della GAM di Roma, fu licenziato. Cose che succedono in Italia, ma non solo. Ci sono cascati anche al Metropolitan, al Louvre e al Pompidou, basta leggere la rassegna dei più noti falsari presentati da Bellet.
Son quasi tutti del secolo scorso non potendo lo studioso, per ragioni di spazio, partire dal mondo antico, per esempio da Pasiteles, greco del I secolo a.C., che copiava da vero maestro le statue dei più celebri scultori della sua terra per rivenderle ai romani “smaniosi di acquistarle” o da Michelangelo che, dopo averlo sotterrato per dargli una patina di antichità, riuscì a far passare per antico un “Cupido dormiente” da lui scolpito facendolo comprare dal cardinal Riario, nipote di Sisto IV, il quale, pur truffato, apprezzò le capacità del Buonarroti e lo richiamò a Roma da Bologna. Per non parlare di Hans Van Meegeren che ebbe il coraggio di vendere a Göring uno dei tanti Vermeer che aveva dipinto e che erano esposti col nome del grande maestro di Delft nei più importanti musei dell’Olanda.
Alcune storie appaiono veramente esilaranti come quella di Fernand Legros, già ballerino nella compagnia di Zizi Jeanmaire, a cui Roger Peyrefitte dedicò fin un romanzo. Il personaggio convinse pure il pittore olandese Van Dongen ad autenticare un’opera che non aveva mai dipinto, e arricchì le raccolte di miliardari americani, ministri giapponesi e petrolieri arabi di opere di Picasso e Modigliani, tutte rigorosamente false, ricavando soldi a palate per comprarsi Rolls, cappotti di visone e pellicce in pelle di scimmia e ville nei posti più spettacolari del mondo. Non fu da meno Wolfgang Beltracchi che vendeva fino a pochi anni fa opere di Ernst, Derain, Léger che mai le avevano dipinte, e che fu tanto spudorato da organizzare mostre di quadri questa volta firmati da lui, da farsi intervistare alla televisione e da collaborare per un documentario illustrante le sue imprese…
Si potrebbe concludere con la (s)fortuna di Camille Corot che “avrebbe realizzato 3000 dipinti di cui 5000 solo negli Stati Uniti”. Uno di questi si fermò anche nel Varesotto e il proprietario ci teneva a mostrarlo, tutto orgoglioso, sulla parete più luminosa del suo salotto opulento finché dovette venirgli qualche sospetto. Fu allora che la tela finì in lavanderia.

Giuseppe Pacciarotti