Invitato a indagare il cinema sperimentale newyorkese durante il ciclo di incontri domenicali Intorno a Kerouac, che si tiene al MA*GA, Enrico Camporesi sceglie una formula vincente: alterna la sua analisi alla proiezione di tre film che coprono un arco di quindici anni (sono girati tra il 1950 e il 1964) e mostrano un cinema diretto, improvvisato.  Cosa vuole dimostrare lo studioso? Che esiste un aspetto topografico della città di New York che lega i tre film: il fenomeno che ha preso il nome di gentrification.

A New York, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si sviluppa lo stile di vita bohemien. Negli anni Venti del ‘900, poi, gli scrittori americani non sono stabili a New York, ma si recano a Parigi. Vi ritornano nel secondo dopoguerra, in particolare nel Greenwich Village, che diventa un luogo di sviluppo artistico notevole come dimostrano i tre film presi in esame da Camporesi.

Il primo film proiettato è Mounting tension (1950) di Rudy Burckhardt, fotografo svizzero emigrato negli Usa negli anni Trenta. Deve la sua fama alle foto di paesaggio urbano e ai diversi documentari che realizza. In questa pellicola ricalca stilemi del cinema muto, parodizzandolo, mettendolo a distanza. L’opera presenta un grande senso dell’umorismo e mostra, tra i set, anche il MOMA di New York.

Il secondo film si intitola The anatomy of  Cindy Fink (1960) di Patricia Jaffee, Paul Leaf e Richard Leecock. Si tratta di una produzione in cui si vuole cogliere, quasi come in un reportage, la protagonista: una danzatrice. La camera segue quasi in soggettiva Cindy Fink, creando il cinema diretto, documentario tipico della New York di quegli anni. In parte il film è girato nell’atelier di Alfred Leslie, pittore e regista noto per i suoi ritratti giganteschi. Lo spazio di produzione dell’arte è sempre presente in queste produzioni cinematografiche, diventando un luogo di collaborazione tra artisti.

L’ultimo film presentato, The last clean shirt (1964) è proprio di Alfred Leslie: Camporesi ha voluto proporlo perché è l’opposto di On the road di Kerouac, sembra una parodia di un road movie. Il viaggio che ci viene mostrato  è ridicolo e derisorio, considerando che inizia e finisce a Manhattan e dura pochi isolati. Realizzato con la collaborazione di Frank O’Hara, il film lavora sulla frustrazione dello spettatore: il viaggio in auto si ripete, identico, ben tre volte.

Il periodo del Greenwich Village si chiude con questa produzione che non è un film d’epoca, ma una ricostruzione d’autore, fatta da Leslie stesso in seguito all’incendio del proprio atelier.

Le Greenwich Village Stories sono bizzarre, ironiche, piene di musica jazz. Esempio di un momento di fervore culturale irripetibile.

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Eleonora Manzo