La tecnologia è ancora una volta al servizio dell'arte. Ne abbiamo avuto l'ennesima dimostrazione, ammirando gli affreschi della "Grande Sala Dipinta di Giovanni Visconti" al Palazzo Arcivescovile di Milano, attribuiti a pittori lombardi che si rifacevano a Giotto e che sbalordivano i contemporanei dei Visconti.
Grazie all'innovativo progetto del City Innovation Lab dell'Alta Scuola Impresa e Società dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, insieme al dipartimento di Storia, archeologia e storia dell'arte, e in collaborazione con Thingk del Politecnico di Milano, possiamo ammirare un po' di questa bellezza viaggiando, grazie alla fedele riproduzione digitale, dentro il ciclo di dipinti, di cui si possono ammirare nella piattaforma "Milano-Augmented Identity" i dettagli.
Un frammento di questi affreschi trecenteschi l'avevamo potuto ammirare da vicino nell'importante mostra "Arte lombarda dai Visconti agli Sforza", curata da Serena Romano docente di Storia dell'Arte Medievale all'Università di Losanna, e Mauro Natale.
È stata lei, infatti, a studiarli appena sono stati ritrovati, datandoli "attorno al 1340, quindi subito dopo la presenza di Giotto a Milano, che fu la chiave di volta del cambiamento culturale voluto da Azzone Visconti. Milano era una delle più splendide tra le capitali della cultura del Trecento" e riconoscendo nel tema, la fondazione di Roma, il progetto propagandistico perseguito da Azzone e dallo zio Giovanni, vescovo di Milano e poi suo successore nel governo della città.

Tale progetto era perseguito anche attraverso il lusso delle loro dimore, specie quella di Giovanni (l'attuale Palazzo Arcivescovile), che stupì anche Francesco Petrarca, reduce dalla Corte papale di Avignone, quando nel 1353 lo visitò, e vi riconobbe il fasto di una "reggia": "Vi è una gran sala, scrisse, con i muri e le travi coperti d'oro, meravigliosa nel suo grande splendore".

"Il palazzo di Giovanni – spiega Serena Romano – era un'immensa residenza dell'arcivescovo e degli uffici della curia, che Giovanni realizzò nel corso di circa dieci anni, fra il 1335 e 1345. La parte del palazzo dove si trova il salone è probabilmente quella finita entro il 1338; il ciclo dipinto appartenne agli anni in cui Giovanni, diventato signore della città dopo la morte di Azzone nel 1339, e arcivescovo a pieno titolo nel 1342, lanciava il suo programma di propaganda per immagini nella città ormai totalmente sotto controllo".

Un ciclo "profano" dunque dall'alto valore simbolico e dal chiaro messaggio politico. Una storia in cui Giovanni desiderava per certi versi "identificarsi", con i due fratelli che lottano contro gli usurpatori fino a fondare un nuovo regno destinato a dominare il mondo nei secoli, vista quale metafora delle vicende dei Visconti, cacciati, scomunicati, ma infine ritornati come signori di una "nuova" Milano.

Di quella ricchezza si credeva che tutto fosse andato perduto nelle molte trasformazioni subite dal palazzo, specie in epoca borromaica; invece all'inizio del XX secolo apparvero alcuni lacerti di affreschi trecenteschi. Pochi altri comparvero nel secondo dopoguerra, ma quasi indistinguibili, e solo di recente ne sono apparsi i nuovi, vasti brani.

La loro reale riscoperta è invece di pochi anni fa, ed è anche legata a una pura casualità: nel 2011 un canale di gronda ostruito ha fatto tracimare l'acqua nel muro di mattoni e ha fatto fiorire la superficie a tempera portando alla luce una figura femminile, a fianco di un grande camino. 
Convocati esperti e studiosi, è stato subito chiaro che si era davanti a un lavoro pregiato il cui recupero era indispensabile per aggiungere un tassello importante alla storia dell'arte milanese, quella in cui Azzone Visconti si adoperava per rendere la città al passo con i più raffinati centri europei. Si è quindi cominciato il recupero e il restauro (che è ancora in corso), sostenuto dagli studi di Serena Romano e del professor Marco Rossi dell'Università Cattolica.

Accertato il tema del ciclo pittorico, e individuati i tempi della sua realizzazione (entro il quarto decennio del XIV secolo), resta ancora da definire chi ne fu l'autore. Il primo a occuparsene, Pietro Toesca, parlò di un seguace di Giotto, "interamente educato all'arte fiorentina".

Ma la Wittgens, e più recentemente la Castelfranchi Vegas, hanno pensato a un modello riconducibile a Lorenzetti e ai suoi lavori nella basilica di Assisi. Così come innegabili sono alcune consonanze stilistiche tra questi frammenti e i coevi dipinti prodotti alla corte avignonese.

Secondo Serena Romano "il gruppo di pittori attivo per Giovanni Visconti mostra alcuni significativi punti di contatto con le opere storiograficmanete riferite a Stefano fra Assisi, Pisa e Chiaravalle, ma anche forti nessi con la cultura di corte avignonese, come indicano gli scorci e le prospettive, nonchè le sue preziosità materiche e soprattutto una già raggiunta autonomia, specie per le scelte formali vigorosamente plastiche e per il naturalismo stupefacente delle scene ancora in situ".

Nomi certi, è evidente, non se ne possono fare, in mancanza di ulteriore documentazione. Ma alla luce delle nuove indagini, considerando il gusto per lo scorcio e il dinamismo narrativo delle scene, le scelte formali vigorosamente plastiche e i preziosismi materici, "si può pensare a maestranze locali di alto livello – conclude Serena Romano- capaci di innestare il celebre, e a questo punto precocissimo, naturalismo lombardo nell'alveo della grande pittura di matrice giottesca".

La visione che ebbe dunque Petrarca della "grande sala dipinta di Giovanni Visconti" è un'esperienza non più replicabile, per noi oggi. Ma possiamo almeno immaginarne lo splendore, partendo da pochi, mirabili frammenti e aiutati dalla moderna tecnologia.