Giorgione, Il tramonto, Londra, The National GalleryGiorgione, Il tramonto, Londra,
The National Gallery

Soggetti ermetici su piccole tele – A volgere le spalle a certe brutture venute su senza senso, si riesce ancora, sia pure per rari scorci, ad inquadrare "le felpe profonde dei prati" di cui scriveva Roberto Longhi nel 1946, e le mura solenni, qua e la pausate da torri merlate, che chiudono "paeseti", solo apparentemente immoti, della Marca trevigiana. Proprio su questo lirico tono le aveva dipinte "maistro Zorzi da Chastelfranco", noto a tutti come Giorgione, nei primissimi anni del Cinquecento (allo scadere del primo decennio era già morto, di peste, forse infettato da una "madonna"), impiegando tavole o tele di piccolo formato destinate ad una ristretta cerchia di amici ed estimatori dai gusti raffinati e sofisticati, tutti coinvolti nei fervori degli studi umanistici. Proprio con questi dipinti elaborati sul cavalletto e da custodire gelosamente nelle sale dei marmorei palazzi veneziani, l'artista decretava lo scardinamento dei modi di trattare il paesaggio che da allora non rimase più statico, bensì in continuo divenire, vivo e vibrante nel cangiare della luce.
É un'emozione davvero profonda vedere a Castelfranco, nelle anguste stanze della casa dove forse Zorzi non é nato, ma sicuramente ha frequentato dato che vi ha dipinto un enigmatico fregio, tutto un riferimento sottile e complesso alla cultura umanistica ed alle curiosità astrologiche predilette dagli intellettuali di allora, é un'emozione profonda, si diceva, vedere queste tavole, a partire dall'intrigante Tramonto della National Gallery di Londra, purtroppo compromesso da alcuni azzardati "restauri". Si tratta certo di un'opera complessa nel suo significato che ora, prendendo spunto dalle due figure di uomini assisi sulla roccia, distanti da un borgo di case possenti, si vuol ricollegare al mitico eroe greco Filottete morso da un serpente e abbandonato sull'isola di Lemno secondo il racconto di Sofocle nell'omonima tragedia fatta conoscere a Venezia proprio in quegli anni grazie alla stampa che ne fece Aldo Manuzio. Enrico Maria Dal Pozzolo, curatore della rassegna insieme con Antonio Paolucci e Lionello Puppi, propone questa congettura identificativa nel poderoso catalogo (526 pagine ben composte dall'editore Skira) ma, al di là del soggetto, su cui certo verranno avanzate altre interpretazioni come accadde ed accade per la notissima Tempesta, dipinta per il "magnifico" Gabriele Vendramin ed esposta a Castelfranco, lascia stupefatti il modo di presentare la natura nei suoi molteplici, vitali fenomeni e nelle sue profonde relazioni con l'uomo che di essa fa parte, in armonia, senza dominarla.

Giorgione, Doppio ritratto, Roma, Museo Nazionale del Palazzo diGiorgione, Doppio ritratto, Roma,
Museo Nazionale del Palazzo di

La "novità" assoluta dei ritratti – Anche quando Giorgione non si cimenta a svelare il paesaggio, ma ritrae personaggi della ristretta società veneta, lo fa mettendo "lo spirito nelle figure", come ben asseriva il Vasari. I suoi ritratti sono di persone che si stagliano da protagonisti su un fondo quasi sempre scuro, tutte assorte in pensieri elevati: l'apice, forse, di queste prove é nel Doppio ritratto con il melangolo, ora al Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma, sottilissimo nella resa del contrasto psicologico dei due amici, con le sue vaghe allusioni, con il suo scandagliare, ed evidenziare coi gesti, i sentimenti, tra malinconica meditazione e spavaldo ardore.

Giorgione artista anticonvenzionale al massimo – Le opere di Giorgione esposte a Castelfranco sono solo (solo?) diciotto e manca qualche opera basilare come la Laura o I tre filosofi, entrambe a Vienna, o la Vecchia co'l tempo delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, ma quel che é stato riunito in modo davvero encomiabile permette di cogliere tutta la forza dirompente delle proposte di questo artista che seppe e volle sfidare le convenzioni, intemperante come doveva essere verso il clima distaccato ed aulico che contrassegnava tanta parte della pittura di Venezia (si pensi a Carpaccio, a Gentile Bellini) di allora.
A corredo, per meglio intendere l'ambiente e la cultura sottile circolante nella "compagnia" di Giorgione, sono affiancati nella rassegna di Castelfranco lavori di maestri coevi, da Giovanni Bellini ad Albrecht Dürer, imprescindibili riferimenti per i pittori di Venezia, da Tiziano a Raffaello, e poi opere dell'antichità presenti in loco e volumi illustrati che concorrono a ricostruire l'humus fervido e complesso e gli interessi in svariati

Giovanni Agostino da Lodi, Sacra conversazione, Gerenzano, ParroGiovanni Agostino da Lodi,
Sacra conversazione,
Gerenzano, Parrocchiale

campi, non ultima la musica; Giorgione sapeva suonare con maestria il liuto e si cimentava nel canto accompagnandosi con questo strumento.

Artisti lombardi influenzati da Giorgione – Tra i "compagni di strada", s'incontra anche qualche "lombardo": Boccaccio Boccaccino che, pur nato a Ferrara, fu di stanza a Cremona ed anche a Milano mentre a Venezia si lasciò suggestionare da Bellini e da Giorgione, e poi Giovanni Agostino da Lodi, di formazione milanese, tra Foppa, Bramantino e Leonardo che forse fece conoscere all'artista di Castelfranco, ricevendo da lui in cambio originali soluzioni compositive e preziose suggestioni cromatiche. L'ancona con La Madonna, il Bambino e Santi dipinta da Giovanni Agostino per l'oratorio di San Giacomo (ora nella Parrocchiale) di Gerenzano risulta una prova più che persuasiva in tal senso, evocando l'illustre precedente della Pala di Castelfranco che Giorgione aveva dipinto per la cappella dei Costanzo nel Duomo della sua città natale. Quest'ultima é ancora lì da vedere per svelare, in sottile poesia, una natura serena, vivida di luce calda che intride anche le figure della Madonna e del Bambino mentre i due santi di qua dal muro si presentano pensosi e pervasi di quel sentimento interiore che si ammirerà anche, e soprattutto, nei suoi ritratti.