Busto Arsizio – Da non molto è apparso Autocurriculum (Sellerio), libro di Emilio Isgrò, uno dei non molti artisti italiani di rilievo internazionale, ma anche poeta e scrittore di vaglia, che da sempre lavora sui due fronti, che si integrano ed illuminano reciprocamente. Leggendo queste pagine biografiche non si può non pensare alle capovolte di Pirandello, oplà: e non solo perché Isgrò è anch’egli siciliano, essendo nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1937. Pirandelliana mi sembra infatti (così è, se vi pare) l’impostazione, la filosofia di fondo, di questo gustosissimo Autocurriculum, che è stato pubblicato dalla sicilianissima casa editrice Sellerio, un tempo invigilata da Leonardo Sciascia, un nome una garanzia. Il titolo scelto segnala un ironico quanto intelligente cambio di prospettiva rispetto al genere enunciato, e quindi atteso dal lettore, che per l’appunto dovrebbe di norma rimandare ad un freddo elenco di presunte prestazioni ed abilità professionali. Niente invece di più lontano da Autocurriculum, che in realtà si offre come una meditata e insieme divertita autobiografia di Isgrò, corredata da alcune significative immagini. Autobiografia, beninteso, tuttavia sganciata dai vincoli della consueta tipologia testuale di simile tenore, e perciò libera di muoversi a proprio piacimento. Anche con cambiamenti di tono al proprio interno, sino a correre quasi verso la conclusione (provvisoria, s’intende) delle pagine finali. Sono queste, come è ovvio, le più asciutte sul piano narrativo e invece fitte di dati ed intense d’eventi, che in qualche modo celebrano – ma senza do di petto o incensazioni – la vocazione irresistibile per la letteratura, la poesia e la scrittura. Piaceri e doveri interiori che trovano nella professione giornalistica (presto orientata in senso culturale) un primo positivo sbocco, che apre presto diverse opportunità e prospettive di confronto e ricerca.

A ragione l’autore soprattutto insiste sulla coerenza d’una carriera artistica ab imis caratterizzata dalle ormai celeberrime cancellature, cifra rimasta ancora distintiva di Isgrò, ed anzi storicizzata. Tuttavia nel libro Isgrò si impegna (e ci insegna) a non banalizzare o cristallizzare il significato di tale ‘gesto’, che in vario modo si è evoluto nel tempo, approfittando di nuove riflessioni e di inaspettati stimoli esterni. L’essere rimasto saldamente arroccato a un’intuizione, resistendo alle tentazioni delle mode culturali che via via si avvicendavano, non ha rappresentato dunque un vincolo, ma piuttosto uno stimolo continuo.

È questo un capitolo essenziale che tuttavia si diluisce in diverse pagine che meriterebbero prelievi stilistici in questa medesima direzione, con il consapevole utilizzo di una serie di varianti lessicali (e non solo) intorno al pianeta cancellare che invade e penetra nelle pieghe più riposte con inaspettati effetti di allargamento semantico. Premesso ciò, va aggiunto che la forma prevalente di Autocurriculum è, grazie alla sua espansione in direzione biografica, gradevolmente narrativa; e soprattutto nei capitoli iniziali (più lenti e forse più meditati dall’autore) assume un livello stilistico notevole, pur all’interno di una organizzazione formale che predilige la paratassi o comunque semplici strutture sintattiche. Tale procedimento rafforza il senso continuo del racconto, producendo un effetto piacevole di consecutività, che l’autore si diverte spesso a spiazzare con dei finalini a sorpresa.

La biografia dell’artista (le sue Memorie di un ottuagenario, omaggio indiretto anche alla ospitale Serenissima) è scandita in dodici capitoletti dai titoli accattivanti (La ricotta siciliana; Il presagio della Treccani; Cosa mangia Montale; La confessione di Pound; Le zampe della Guggenheim; Cristo alla prova; La dedica di Buzzati; Chopin al buio; Il vento di Gibellina; L’orologio di Bologna; Semi per l’Europa; Un proverbio esquimese) e segue il naturale svolgersi del tempo, attraversando frangenti storici e mode. Perciò si apre con la storia delle origini familiari concentrandosi poi sul giovane Emilio in procinto di abbandonare (ma solo fisicamente) la Sicilia. Come in una sorta di caleidoscopio il piano biografico si compone, capitolo dopo capitolo, soprattutto grazie al confronto con una serie di personaggi incontrati da Isgrò nel corso della sua vita, che nel frattempo si svolge prima nel Veneto e poi in una fertilissima e accogliente Milano, ricca di gallerie, librerie e salotti frequentati da una borghesia non ancora precipitata nell’analfabetismo.

L’autore si diverte a raccontare tali incontri, che coinvolgono gli artisti e gli scrittori più importanti del secondo Novecento (quali , purtroppo non registrati da un indice dei nomi che invece sarebbe risultato utilissimo. Anche se a volte – con un ennesimo cambiamento di visuale – gli attori più rilevanti si rivelano le figure apparentemente minori. Su di essi indugia l’affetto e la pietas dell’autore; che al contrario spesso non esita a mostrare il lato più comico (esemplare in questo senso il quadretto di un Piero Chiara satiresco tratteggiato a p. 40) o semplicemente più banale di personaggi considerati invece esempi indiscussi (penso per esempio all’antipatia di Calvino). Si tratta di incontri a volte cercati, spesso suggeriti o imposti dal caso o dalla benevola fortuna, perché quasi sempre sono l’occasione di un arricchimento, sia umano sia di conoscenza. E questo miscuglio di imprevisto e di razionalità è un’altra venatura pirandelliana che sostiene la fluida prosa di Isgrò. Che a fine lettura appare non solo un grande artista, ma una mente curiosa ed onnivora, un intellettuale a tutto tondo, impegnato a rifuggire dalle mode, anche a costo della solitudine.

 

Alberto Brambilla