Incontro con Maria CilenaIncontro con Maria Cilena

Varcato l'imponente portone in via Farini 6, ci si trova in un piccolo cortile dove si respira l'atmosfera dei romanzi di Buzzati e Castellaneta.
Nel procedere verso il luogo dell'appuntamento con Maria Cilena, titolare dell'omonima Galleria d'arte, il frastuono del traffico si affievolisce sino a scomparire appena oltrepassata la soglia dello spazio espositivo, dove la Signora ci accoglie con la delicatezza che la contraddistingue.
Quando ci siamo incontrati per stabilire la data dell'intervista, mi ha colpito il suo ricordo di Milano legato a dei guantini bianchi.
"La mia famiglia viveva a San Remo e il clima era ben diverso da quello di Milano – spiega – io ero bambina e ogni volta che venivo in questa città con mio papà, lui si accorgeva che avevo freddo perché mi fermavo sulle grate dove salivano i vapori caldi e così mi donò dei guantini bianchi che regolarmente ho perso. Ciò mi procurava sofferenze enormi e da bambina pensavo, ma a chi serve un guanto solo?"

"Iniziamo dalle origini, cosa l'ha spinta a diventare gallerista?"
"Mio padre era pittore ed io ho iniziato presto ad imitarlo. Devo dire che mi ha sempre incoraggiata tanto che poi ho frequentato l'Accademia di Brera. Tuttavia è rimasto il paragone con un padre bravo, talentuoso, con il quale non vorresti mai confrontarti. Così, mi sono dedicata alle arti decorative, mi sono divertita a dipingere cose, a giocare con i colori. Tutto questo ha fatto sì che l'ambiente dell'arte mi fosse naturale e davvero congeniale. Pur vivendo a San Remo ho conosciuto Beniamino, un gallerista che mi ha presentato Enrico Baj, importante autore che ho conosciuto ed imparato a stimare innanzitutto come artista, sino ad arrivare ad una frequentazione assidua e famigliare, realizzando, insieme con Lucilla Saccà, alcune mostre in paesi dell'America Latina".

"Arriviamo alla sua prima mostra, che ricordo

conserva?"
"Milano, aprile 1989, Morellet. Ero davvero molto emozionata, sono persino venuti i miei parenti da Lecce, i famigliari di mio marito: non ricordo quasi più niente dall'emozione forte! Poi c'è il ricordo di lui, di sua moglie, che dicevano essere una donna molto dura. Con me è stata dolcissima, mi ha fatto i complimenti perché usavo i guanti bianchi nel maneggiare i lavori bianchi del marito. Morellet era venuto con sua moglie, la sua "segretaria personale", e con un amico antiquario che puliva i quadri a tempera con la saliva. Da lui e da Morellet ho imparato molte cose".

"Con che periodo artistico o con che artisti si sente in consonanza?"
"Ho amato Betty Danon che lavorava con la poesia visiva, sento attrazione per tutto ciò che è sofisticato, intelligente e concettuale. Tuttavia non disdegno opere colorate, dipinte in modo tradizionale. Tenendo conto del lavoro svolto, si cerca di rispettare coerentemente il percorso tracciato. È difficile, ma devo dire che una delle cose che si imparano facendo questo lavoro è operare in sottrazione. Si inizia a valutare e considerare il lavoro di dieci artisti per arrivare a sceglierne uno o due".

"Lei ha una preparazione accademica, per di più dipingeva. Non le è mai venuta la tentazione di ritornare a fare l'artista?"
"Da quando ho deciso di fare questo lavoro mi dedico solo agli altri: non ho mai più preso in mano un pennello. Se ho voglia faccio un disegno per conto mio, posso disegnare la mia gatta o cose del genere. Ho sofferto molto quando si è ammalata, ma a me capita di soffrire per molte cose. Sono un po' delicata – sorride.

"Per alcune mostre, lei si affida a un curatore".

"No. Capita con Roberto Borghi, semplicemente perché con lui ho un bel rapporto di amicizia da molti anni, una vera intesa intellettuale che coltivo sin da quando entrò, come giovane critico, nella Galleria di via Ariberto. Dimostra interessi simili ai miei: è un giovane critico molto preparato e molto attento, dedicandosi anche al teatro, altra passione che condividiamo".

"Facciamo un gioco: io le dico alcuni nomi di artisti e lei, per ognuno, tratteggia un ricordo o un'impressione. Calzorali".
"Eh… l'ultima mostra che ho realizzato, ho voluto affiancarlo a Parmigiani per la sua poetica".

"Staccioli"
"È un uomo straordinario. Le racconto un aneddoto particolare: doveva fare una mostra da me e per l'occasione gli avevo chiesto di condividere lo spazio con due giovani artisti. Lui aveva accettato, ma al momento dell'allestimento, i due giovani artisti avevano "occupato" gli spazi più grandi. Senza scomporsi, aveva commentato: "Cilena non ti preoccupare, io vado dietro".

"Uncini".
"L'ho conosciuto nel suo studio a Roma: una persona molto gentile. Ricordo che mi ha chiesto di smettere di fumare perchè lo considera profondamente antiestetico in una donna. Ci siamo sentiti di frequente al telefono; con lui ho fatto anche una mostra che tra l'altro è andata benissimo".

"Xerra"
"Un uomo straordinario. Con Xerra ho lavorato molto, abbiamo fatto una mostra bellissima, Gli Amori di Xerra, e fra poco ne inaugureremo un'altra. Nel frattempo ci siamo frequentai molto, è un artista bravissimo, che dire… l'adoro e credo che lo amino tutti, perché ad ogni sua mostra vedo il piacere che la gente ha nell'incontrarlo".

"Un'artista donna?"

"Clara Brasca. È la più brava pittrice del momento, mi convince sempre. Al di là del colore e della pittura è un'autrice concettuale che purtroppo pochi capiscono".

L'arrivo in Galleria di William Xerra, con un giovane ex allievo, è una piccola festa: la Signora Cilena predispone alcune sedie a cerchio, inizia una piacevole conversazione accompagnata da un buon caffè, ma questa è un'altra storia.