Cesare Pavese -da internetCesare Pavese -da internet

Professoressa di lettere e pittrice, Manuela Vasconi insegue da sempre queste due passioni e le coniuga tra loro dando voce alla sua vena più creativa. Pennelli e colori alla mano, la docente del Liceo Frattini ormai da anni mette in mostra i suoi dipinti, che nascono anche dalla conoscenza e dall'amore per il noto scrittore italiano Cesare Pavese (1908-1950). L'autore de La luna e il falò, scrittore amato e odiato da chi si trova ora nei banchi di scuola per la sua brillante scrittura dedita a temi a volte duri e malinconici, diventa musa per l'artista varesina.

La Vasconi, da tempo appassionata della poesia di Pavese
, ha realizzato una serie di opere ispirate ai versi del cunese che sono state esposte nel 2000, in occasione della mostra promossa dall'Associazione milanese Sassetti Cultura e da Archivi del Novecento che ha trovato sede alla galleria Sassetti di Milano e nella casa-museo di San Stefano Belbo (dove è nato Pavese). Tre di questi lavori trovano adesso ospitalità – per qualche giorno – presso la vetrina della Libreria Mondadori di Varese (via Morosini), per celebrare il 60° anniversario della morte di Pavese, avvenuta il 27 agosto a Torino. Proprio Manuela Vasconi ci parla di questo scrittore e della sua passione per la sua poesia, trasformata in versi pittorici.

Un'opera della VasconiUn'opera della Vasconi

Manuela Vasconi, quando nasce il suo interesse per Cesare Pavese?
"Per me Pavese è un amore giovanile. Mi sono sempre nutrita della sua scrittura, è un autore di culto con una spiccata sensibilità che pone problematiche di carattere storico, etico e creativo. Mi piacciono proprio i ritmi narrativi di Pavase, che forse appaiono un po' lenti ai più. E' stato un innovatore della cultura italiana perchè aperto all'estero e perchè ha avuto il coraggio – nonostante lavorasse durante il fascismo – di tradurre gli scrittori americani e si è fatto coinvolgere in prima persona nella ricostruzione dell'Italia".

"Pavese si è reso conto e ha anche parlato del senso di impotenza degli intellettuali verso il fascismo. Una presa di coscienza totale che si ritrova anche in una delle poesie della raccolta La terra e la morte, che inizia proprio con il verso: "E allora noi vili…" Rivolgendosi così a se stesso e ai colleghi letterati dell'epoca. Pavese si trova a vivere l'impegno civile legato alla città e l'appartenenza al mondo contadino legato alla natura, due anime contraddittorie e non facilmente conciliabili per lui".

Un'altra opera dell'artistaUn'altra opera dell'artista

Quali sono gli scritti di Pavese che preferisce? Per quale motivo?
"In particolare mi sono avvicinata alla sua poesia. Per realizzare i miei dipinti ho seguito i versi delle sue tre raccolte maggiori. Nella prima raccolta Lavorare stanca (1936) la vita che viene espressa è legata alla cultura americana e prende forma dal di dentro, dall'espressione di situazioni realistiche. Pavese era allora legato all'Antologia di Spoon River  del poeta americano Edgar Lee Masters (tradotta proprio in quel periodo) e alla giovane ragazza che l'aveva aiutato in questo lavoro di traduzione, che poi è diventata la sua musa".

"Io ho realizzato una tela sul Lo Steddazzu, una poesia che parla di solitudine. Lo steddazzu è una grossa stella del mattino che appare prima dell'alba, nei versi di questa poesia la solitudine appare come un destino e come una condanna. Poi c'è la raccolta La terra e la morte (1945) dove Pavese esprime la sua concezione amara della vita – in rapporto anche al periodo bellico – e dove la figura femminile, fondamentale per lo scrittore, diventa metafora di una possibilità di cambiamento. Infine la raccolta – pubblicata postuma – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi dove tratta vicende sentimentali molto tormentate".

Diversi sono i temi e i soggetti affrontati dallo scrittore, quali ha deciso di tradurre in pittura?
"L'universo di Pavese mi interessa totalmente. Quello che mi piace però cogliere non sono gli aspetti più crudeli e negativi che lui narra. Sicuramente la mia pittura contiene momenti dolorosi e vicende non proprio felici, ma nei miei dipinti c'è sempre un sì alla vita, anche se disperata. Lo slancio vitale pervade le mie opere.

Sangue di primaveraSangue di primavera

Tra le tele esposte a Varese il quadro più grande (Sangue di primavera) nasce dalla riscstruzione di un testo poetico di Pavese. In questo lavoro ho messo in luce il ruolo vitale della figura femminile. In quest'opera – che deriva dall'ultima raccolta poetica di Pavese – si sente la tristezza dello scrittore che, nonostante avesse raggiunto il successo e ricevuto alti riconoscimenti come l'assegnazione del Premio Strega (ricevuto nel 1950 per La bella estate)soffre della mancanza di una relazione sentimentale solida. L'impossibilità di costruire una storia di natura amorosa l'ha portato alla condanna della solitudine, all'impossibilità di costruirsi una vita profonda. Predomina in lui il lato maschile, caratterizzato da quest'impotenza nei confronti della vita, e credo anche che da questo derivi la sua scelta di togliersi al vita".

Alla pittura abbina anche versi di Pavese rielaborati e assemblati?
"Sì, ad esempio per il mio quadro Sangue di primavera, dipinto nel 2000, mi sono ispirata a varie poesie di "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi". Sono parole di Cesare, riespresse in ordine straniero, che hanno suggerito immagini, colori, segni, del rapporto mitopoetico di Pavese con la terra, la donna, la vita e quindi polo positivo rispetto al suo vizio assurdo, alla sua vocazione ineluttabile alla solitudine e alla morte. Ma io ho sentito, voluto, scelto, di dare voce e colore alla forza del mito che risveglia feroce sangue di primavera".