Un vecchio primo piano di LottiUn vecchio primo piano di Lotti

Senza fini -Un uomo buono, nel senso vero del termine, benché polemico, in alcuni casi anche troppo, ma mai per interessi reconditi. E' questo il ritratto di Carlo Alberto Lotti, l'artigiano-restauratore rimasto vittima di un incidente stradale, pennellato a caldo da persone che lo hanno conosciuto per una vita e da chi ha avuto anche solo poche occasioni per incontrarlo.

Serio ma disposto al riso – "L'ho conosco dai tempi del liceo, benchè fossi di qualche anno più vecchio di lui", ricorda Luigi Piatti, storico dell'arte varesina. "Conservo ancora tutti i numeri del giornale per cui esercitava la sua funzione di critica sferzante. Ricordo bene la sua polemica, mi pare nel 1977, su Arcumeggia, un articolo molto duro. Ma era una persona buona. Quando parlava di cose importanti lo faceva sul serio, ma anche diposto a riderci su".

Paolo ZanziPaolo Zanzi

Incoraggiante con i giovaniPaolo Zanzi ha conosciuto Lotti a metà degli anni Sessanta. All'epoca, con altri studenti, stava organizzando il Primo Convegno di urbanistica a Varese. "Ricordo che fu molto partecipe e collaborativo con noi giovani. E' sempre stato molto incoraggiante. Focoso e reattivo sui destini culturali della città. Anche nei miei confronti e sul mio impegno per il Sacro Monte. Non abbiamo mai collaborato a stretto contatto; piuttosto a distanza, ma non mancava di farmi sapere il suo pensiero. Certo non sempre era condivisibile il suo polemizzare toscano, ma era un uomo che provava il gusto e il piacere di dire la sua".

Curiosità intellettuale ed erudizione
– "Non l'ho conosciuto direttamente al lavoro in quella fertile stagione a fianco di Monsignor Macchi – spiega Laura Marrazzi, conservatrice del Museo Baroffio – ma apprezzavo molto il suo 'difetto': la schiettezza. La sua onestà nel cercare lo scontro dialettico in modo disinteressato, per il bene delle idee. E non posso non ricordare la sua erudizione e una vitale curiosità intellettuale".

Il figlio Piero a destra con l'architetto Matteo ZenIl figlio Piero a destra con l'architetto Matteo Zen

Della vecchia scuola – Anche il giovane architetto varesino Matteo Zen, amico e collaboratore del figlio Piero, lui pure restauratore, ha ricordi recenti: "Un personaggio "eclettico", convinto, oltremodo, delle sue posizioni, estroverso, sicuro, tipico della vecchia scuola anche nel suo lavoro. Diverso in questo dal figlio Piero, molto più diplomatico, molto più attento e rispettoso di certi parametri operativi, un restauratore della nuova scuola. Li ho visti in alcuni casi insieme. Si 'beccavano' come possono scontrarsi un padre e un figlio che fanno lo stesso lavoro, ma diversi per carattere e per cultura".

Il rammarico di Brogli
– La telefonata di un amico, all'alba, ha raggiunto anche Amedeo Brogli, l'assistente di Guttuso alla Terza Cappella. "Sono profondamente addolorato. Per l'uomo e per l'amico. Nononstante le divergenze, il nostro è stato un rapporto fatto di amicizia e di collaborazione" ricorda il pittore romano. "Uomo anarchico, per così dire, a volte un don chisciotte. Fiero del suo lavoro e di quella scuola di restauro che aveva creato al Sacro Monte. Ricordo quella schiera di giovani allieve, bellissime, che lo seguivano, lavoravano duramente. Sembravano angeli caduti in quel posto meraviglioso. Ho un solo rammarico. Le critiche che mi ha rivolto per il mio lavoro sul Guttuso. So che ultimamente avrebbe voluto chiamarmi per spiegarsi con me. Ma la vita non gli ha dato la possibilità".