Sempre più spesso e da più parti capita di recepire istanze che richiedono un recupero e una tutela delle opere di Edoardo Caravati, il cosiddetto matt d'ur pian da Cruz (Luvinate). La sua storia parte da lontano, da quel 1869 che aveva da poco visto sorgere il Regno d'Italia e che vedeva ormai quasi concluso quel movimento di animi e di uomini che era stato il Risorgimento. Nasce a Bosto (Varese) ma la sua formazione avviene in territorio elvetico, che a seguito di eventi contingenti fu costretto ad abbandonare, trasferendosi in Germania all'inizio del XX° secolo.

Sebbene la sua professione fosse quella dello scalpellino, questa fu sempre accompagnata da una produzione scultorea di affascinante impatto artistico. Se da un lato Caravati collaborò alla costruzione di importanti opere come il Grand Hotel Campo dei Fiori e la funicolare del Sacro Monte, dall'altro riesce con le sue creazioni, esempio a suo modo di un evergetismo disinteressato, a costruire dal dialogo con la natura un momento di incontro spirituale prima che artistico.
Le sue realizzazioni così nascoste all'interno del Parco del

Campo dei Fiori, vogliono rivendicare una naturalezza del fare arte che contraddistingue una personalità genuina. Questa riflette il suo mondo e la sua gente, gente semplice. Proprio questo pudore, questa avversione all'autocelebrazione, hanno forse però portato ad una misconoscenza dello stesso Caravati. Ad oggi sono molte le sue opere usurate dal tempo e dalle intemperie, piuttosto che dallo sciagurato intervento umano.

Il luogo sicuramente più proficuo per la sua arte scultorea è il Monte Tre Croci, una delle cime del Campo dei Fiori, dove si possono apprezzare diverse sue realizzazioni. Partendo dal piazzale oltre la caserma dove è situato il "Crocifisso con le tre Marie" (lungo il muro perimetrale sottostante), si può proseguire dirigendosi verso il "sentiero 1", all'altezza del tornante precedente, dove costeggiando la recinzione militare ci si inoltra nella macchia. In questa zona sono rintracciabili altre due creazioni del Caravati, il "monolite" e il "presepe". Per una più precisa indicazione topografica delle opere si rimanda ai contatti a piè di pagina.

Volendo identificare la sua cifra stilistica, forse più di ogni altra cosa va sottolineata la sua capacità di modellare la natura, cogliendo quel messaggio universale di cristiana speranza, che in maniera così istintiva seppe interpretare nella solitudine della montagna. La sua montagna. Ancora una volta va registrata la paradossale circostanza per la quale un'artista risulta maggiormente apprezzato all'estero piuttosto che in casa propria. Negli altri luoghi in cui Caravati ha lavorato infatti, il suo lascito è stato considerato e custodito in maniera sicuramente più degna che in patria. Se questo può essere in parte spiegato dalla naturale esterofilia italica, non si può certo giustificare, continuando a considerare l'arte dei propri artisti un'arte provinciale e minore, questa si per altro un'attitudine provinciale.

Nel riportare lo stato di abbandono a cui sono state lasciate varie opere di Caravati, non va però di contro ignorato l'interesse crescente da parte della gente e dei semplici appassionati della montagna, di cui sono testimonianza viva diverse iniziative di sensibilizzazione. Attività virtuose che fanno ben sperare in vista di un mutato sguardo critico sull'artista e sulle sue opere. In questo senso si configura il recente restauro di un crocifisso, il "Sass dul Signur", che verrà presto ricollocato e a cui daremo seguito in un prossimo articolo.

Per approfondire:
– "Caravati e Bertini gli artisti del bosco" a cura di Giancarlo Langini e Renato Fraticelli – ed. I Libri di Luvinate
www.lemeravigliedivarese.wordpress.com (a cui si devono le fotografie del crocifisso e del presepe)