Il manager tra i suoi libriIl manager tra i suoi libri

In "Italia S.p.A.", di Salvatore Settis, che Lei cita nel suo libro, l'autore si interroga sulla possibilità di privatizzare la gestione dei Beni culturali in Italia, Lei è per il mantenimento della statalizzazione, per la privatizzazione simile a quella statunitense oppure per la semi-privatizzazione?
"Io penso che si debba applicare il buon senso. Non credo che esistano delle ricette immutate ed immutabili, esistono diverse situazioni di fronte alle quali ragionare e capire quale sia la strada migliore, magari sbagliando. Privati sì, privati no? Abbiamo eccellenti istituzioni museali che vanno benissimo e che sarebbe inutile privatizzare, abbiamo pessime condizioni patrimoniali in mano ai privati, che sarebbe necessario fossero pubbliche. I Vaticani come devono essere considerati? Pubblici o privati? Visto dove si trovano. Di fatto vanno benissimo, nessuno al mondo può pensare di cambiare la loro condizione. Mentre Brera, che è un museo statale, secondo me non riesce a trovare una sua dimensione, avrebbe bisogno di un innesto di idee, se queste debbano venire dal privato, da un assessore brillante o da chi altro, non lo so. Le dico che è questione di buon senso, non di leggi e non di regole, quelle vengono dopo".

Non pensa che la volontà di Tremonti di alienare parte del patrimonio italiano derivasse dal desiderio di applicare la pragmaticità, il senso manageriale tipici di un'azienda privata, ad un sistema di gestione culturale prevalentemente statale?
"In Italia la mia impressione è che siamo incapaci di condurre un dibattito sereno, per cui diventa tutto subito apocalittico, non è vero che Tremonti voleva vendere qualsiasi cosa e infatti non ha venduto poi niente. Si è sforzato di spiegarlo, ma nessuno gli ha dato retta, perché in Italia, soprattutto quando è implicata la politica, si perdono le basi del ragionamento. Non è vero che in principio vendere sia sbagliato, non è neanche vero che questa linea vada perseguita a tutti i costi".

Quanto conta da 1 a 10 la presenza di amministratori motivati e interessati alle sorti del proprio Paese?
"10! Le faccio un esempio, "Progetto Italia", che è l'esatta applicazione delle idee presenti nel mio libro "Lo Stato dell'arte", è stata un'intuizione di Marco Tronchetti Provera che ha saputo trovare in me una possibilità di dire qualcosa di nuovo e di diverso dal proprio campo, ma che fosse utile e importante per il nostro Paese, ma anche per l'azienda Telecom".

Nel capitolo "Comunicazione" Lei dice che è necessaria la passione per trasmettere e divulgare la cultura. Ma senza un'appassionata educazione scolastica al patrimonio come pensa sia possibile applicare le idee presenti nel suo manualetto d'uso?
"La scuola non può insegnare tutto. Il suo compito è quello di seminare, certo la scuola è perfettibile, ma non si possono nemmeno biasimare i professori che sono sottopagati e demotivati, pertanto non riescono a dare il meglio di sé. Io metto molto di più l'accento sulle famiglie, perché la mia sensazione è che alle carenze indubbie della scuola si assommino quelle della famiglia. Ai miei tempi si parlava, c'era dialogo, questo significava ricchezza nei punti di vista e curiosità nei confronti del mondo, scambio di informazioni che non si ricevevano a scuola. La storia dell'arte a scuola ha poco spazio, va bene, prendiamone atto, ma le ore sono 30, non possiamo metterne 40. Ma gli spazi si trovano: il mio prof. di religione, Luigi Paini, che ora scrive per "Il Sole 24 ore", ci fece conoscere tutti film su Gesù, riuscendo a trasmetterci sia la cultura religiosa che cinematografica. Capisce quanto la contaminazione vada bene in questo caso! In questo paese credo che ci siano delle persone straordinarie, non sono un buonista, ma un ottimista. Credo che si tratti di lavorare positivamente perché tutte possano esprimere il meglio di sé".

Kerbaker davanti al suo libroneKerbaker davanti al suo librone

Definisce i giovani delle "bestie ignoranti". E' una critica giusta, è vero, ma molto forte, soprattutto alle persone della sua età, perché se i suoi figli e i loro coetanei si trovano in queste condizioni dipenderà certo da loro, ma anche dal fatto che gli educatori non siano stati in grado di interessarli, non crede?
"Io li definirei accademicamente ignoranti, mancano delle nozioni di base. Parlo per esempio dei miei figli, il più grande non conosce molte cose noiose, ma di cinema sa molto più di quanto sapessi io alla sua età! Credo che la cultura non sia la strada per tutti, credo che la propria strada sia fatta di vocazione e passione. Meglio persone ignoranti, ma che abbiano una curiosità, una specificità, che siano vivi! Quando dicevo che i miei figli sono "bestie", intendevo dire che li vedo poco vivi. Vorrei dai ragazzi una curiosità per qualunque cosa, non m'importa che sia culturale, ma chi l'ha deciso?".

Talvolta questa curiosità stenta ad emergere perché alcuni educatori pensano a inculcare le nozioni nei giovani, senza trasmettere loro la passione e la linfa vitale che sta dietro la cultura?
"Così li si perde".

Certo! Allora siamo di fronte ad un cane che si morde la coda… Cosa si può dire?
"Guardi, l'Italia si strappa sempre le vesti, ma alla fine ce la fa sempre. Ci si piange addosso, ma bisogna essere ottimisti. Non starei tanto a distinguere tra cultura alta e bassa. Se noi ci fossilizziamo nel dire Shakespeare sì, il rock no, sbagliamo! Non sarebbe giusto avere un Paese di tutti fiscalisti, né di tutti cantanti rock, è fondamentale incoraggiare le curiosità e i talenti".

Cosa ne pensa dei laboratori didattici all'interno dei Musei come offerta di divulgazione del patrimonio artistico? Dato che il suo scritto è incentrato sui punti dell'originalità, dell'adozione di un linguaggio semplice nell'opera di divulgazione della ricchezza patrimoniale al pubblico.
"Anche in questo caso con buon senso. Se si attuano dei laboratori didattici, che sono un bene in linea generale, ma che non si facciano come si propongono "I Promessi Sposi" a scuola! Troviamo delle persone che siano capaci non di fare laboratori didattici, ma di fare le proposte che avvicino i ragazzi al museo e al suo contenuto, facendo parlare questi musei. Se abbiamo persone di questo tipo, ben vengano, se viceversa non ne siamo dotati in quel momento, aspettiamo. Non credo che le cose si facciano in astratto, sono molto pragmatico".

Servono tecnici per conservare ed innovare correttamente il patrimonio artistico italiano, come lei afferma nel suo libro. Non pensa che questi esistano, ma che l'attuale sistema lavorativo non voglia o riesca ad investire molto sui neolaureati?
"Non è vero, è sempre stato così. Conti che io ho lavorato nel settore della comunicazione della Pirelli, che produce gomme per camion, per 20 anni, e mi sono divertito tantissimo. È da poco che faccio l'operatore culturale. La strada si trova, ma i ragazzi che, appena usciti dall'Università desiderano fare subito quello che vorrebbero fare, difficilmente saranno soddisfatti".

Con Dorfles a Villa RecalcatiCon Dorfles a Villa Recalcati

Associazione mondo culturale e mondo industriale/manageriale. Mi riferisco a Brescia. Isola felice dei Beni culturali in Italia?
"Sì, isola felice, ma con gli snobismi che comunque ha dovuto subire, pensi a Gillo Dorfles che non se ne è mai avvicinato. Credo per totale pregiudizio da parte sua, perché è un uomo talmente vispo che, se qualcuno di sua fiducia gli avesse detto che ne fosse valsa la pena, penso che sarebbe andato a vedere qualche mostra a Brescia. Per me la parola d'ordine è buon senso, non esiste il buono tout court, così come non esiste il cattivo tout court. Non esiste l'industriale buono e lo Stato cattivo, o viceversa, ma dove viviamo? Esistono imprenditori impegnati, piuttosto che amministratori tali. Devono essere capaci di "sapersi annusare". Le collaborazioni devono essere intelligenti, perché quando queste persone si incontrano possono star bene ovunque".

Centri storici, globalizzazione, turismo di massa sono accomunati dal fenomeno della standardizzazione. Cosa possiamo fare tutti nel nostro piccolo per contrastarlo, per mantenere le identità nazionali e delle piccole realtà?
"E' una questione molto complessa. Penso che alle griffes dobbiamo riconoscere molti meriti e se mi vuole far dire qualcosa contro di esse non ce la farà mai! Le cito una mia esperienza vissuta a Berlino all'epoca dei grandi cantieri di ricostruzione. Ero in Potzdamer Platz. Nell'architettura berlinese era riconoscibilissima la divisione della città in oriente ed occidente, tra comunismo e nazismo. Come unire le due facce di una stessa città dopo anni di divisione? L'ho capito quando, passeggiando in una strada secondaria, ho visto il logotipo della Lacoste, simbolo occidentale di democrazia. In quel momento compresi quanto sia forte il linguaggio delle immagini, quanto quel marchio fosse efficace per trasmettere un'idea di libertà, quanto l'arte sia libera!".

La ringrazio per aver rilasciato questa intervista, augurandomi che gli Italiani siano davvero dotati di buon senso. Presumo, comunque, senza averglielo domandato, che, tenuto conto delle eccezioni, la sua risposta sarebbe affermativa.