L'opera del BergognoneL'opera del Bergognone

Il catalogo – Sabato 13 dicembre alla presenza della dottoressa Marelli della Sovrintendenza ai Beni artistici storici ed antropologici di Milano e dell'Assessore alla cultura Claudio Fantinati ha avuto luogo la presentazione al pubblico del catalogo ragionato delle Civiche Raccolte d'Arte di Busto Arsizio. Il volume costituisce un'importante opera di catalogazione e illustra in maniera completa tutte le opere facenti parte del patrimonio artistico della città. Tra queste la dottoressa Marelli ha scelto di soffermarsi ad illustrare la curiosa vicenda storica e di attribuzione di alcuni capolavori da lei stessa recentemente analizzati.

Un affresco – Alle opere più antiche della collezione, accanto a dipinti significativi come quelli di Morazzone, Nuvolone e Biagio Bellotti, appartiene l'affresco, raffigurante una Madonna in trono col Bambino tra i Santi, situato nella chiesa di S. Maria di Nazareth presso la scuola materna del rione S. Anna. Il dipinto, già segnalato da Pacciarotti come opera del Bergognone, vede confermata da Marelli questa attribuzione. Ma l'opera, donata nel 1976 dal cav. Stefano Ferrario, giunge alle raccolte solo dopo una lunga vicenda.

La storia – L'opera proviene dal milanese Luogo pio dell'Umiltà, fondato nel 1444 da Vitaliano I Borromeo, presso la chiesa di S. Maria Podone. Quando l'edifico fu alienato l'opera fu acquistata men che meno da Giuseppe Bertini. Il dipinto, rimosso dalla parete con la tecnica dello "strappo"ha causato un impoverimento della materia pittorica e ha provocato alcune lacune specialmente nella zona inferiore. Nel corso dei passaggi di proprietà (dal 1899 entra nella collezione avvocato Achille Cologna, poi ingegnere Speroni, Milano) ha subito interventi di ridipintura e l'inserimento di un cartiglio con il nome di Vincenzo Foppa, a cui l'opera fu in passato attribuita. Fortunatamente meglio conservata è la parte superiore in cui è individuabile il dolce viso della Madonna riconducibile alle fisionomie tipiche del Bergognone.

I committenti – Accanto al trono troviamo delle figure ben precise: Giovanni III Borromeo e la moglie Cleofe Pio da Carpi, sposata nel 1458. Non a caso, infatti, Pacciarotti aveva sottolineata la somiglianza compositiva di questo affresco con la Madonna in trono col Bambino tra i santi e l'abate Calagrani conservata ad Arona nella chiesa dei Ss. Gratiniano e Felino. L'abbazia fu infatti fatta costruire dallo stesso Giovanni III Borromeo, possessore dell'intera pieve di Arona. In quell'occasione il committente si era infatti rivolto al Borgognone e così fa successivamente nella versione ora a Busto Arsizio, datata circa 1490-95.

Il crocifisso ligneoIl crocifisso ligneo

I restauri – L'affresco ha subito in questi mesi un importante lavoro di restauro ad opera del Laboratorio Sangregorio di Busto Arsizio. Le operazioni hanno previsto un intervento conservativo di consolidamento dell'affresco al supporto e di fissaggio delle scaglie di colore sollevate e una successiva fase di pulitura che ha portato alla luce l'azzurrite del fondo e ha rivelato un'originaria presenza di finiture in oro zecchino ora andate perdute. Si è riuscito così a recuperare la cromia originale del dipinto e nella fase di integrazione pittorica si è proceduto a rimuovere le parti ridipinte, sostituendole con velature più discrete o, dove non possibile, adattandole alla situazione cromatica dell'affresco pulito. L'affresco "strappato" riportato su una tela e su allettamento cementizio risulta molto difficile, oltre che rischioso, da rimuovere. L'opera del Borgognone riportata al suo splendore si dovrà ammirare, quindi, in questa piccola chiesetta, rispettando così anche le intenzioni del donatore che aveva concepito l'opera per la cappella da lui stesso fatta edificare.

Un crocifisso – Lascito del cav. Stefano Ferrario sono anche due angeli cerofori del XVII secolo e un crocifisso ligneo destinati all'arredo della cappella. La provenienza di quest'ultimo è ignota. L'analisi stilistica ricondurrebbe l'opera alla fine del XV secolo e alla mano di Giacomo Del Maino, celebre artefice attivo in epoca sforzesca a Varese e Pavia. L'opera colpisce per l'intensa umanità del Cristo colto nell'attimo di estremo dolore che si riverbera su tutto il corpo fino al volto dolente. L'opera, in legno policromo, è ora sottoposta a un lavoro di restauro, già concluso, invece, per i due angeli portacero, anch'essi in legno policromo.

Legame con la città – Grazie ai recenti studi e ai restauri nuova luce è stata portata su tesori inediti del patrimonio artistico cittadino. D'ora in poi il pubblico dell'arte potrà vantarsi di capolavori preziosi che senza alcun dubbio meritano di essere ammirati così da annoverarli tra le altre opere d'arte della collezione a cui già da tempo la città dimostra il suo affetto.