Philippe Daverio ospite a VaresePhilippe Daverio ospite a Varese

"Pulchritudo multiplex est", "La bellezza è varia". Così si pronunciava Giordano Bruno circa uno dei più antichi e complessi nodi del pensiero occidentale. Non è certo cosa facile definire il concetto di "Bellezza", anzi pare davvero che il termine sfugga, come pochi altri, a definizioni certe e definitive.
Il bello è eterogeno: tra gli oggetti belli si annoverano, infatti, tanto opere d'arte quanto paesaggi naturali, tanto corpi quanto voci e pensieri.
Philippe Daverio, ospite all'Istituto De Filippi di Varese, ha cavalcato secoli di storia e filosofia estetica andando alla ricerca del significato semantico della parola, un significato vario e multiforme a seconda di tempi, spazi e culture, forse, semplicemente, da poter descrivere come un "patto sociale condiviso".

"Un popolo, in un dato tempo, può essere in disaccordo su tutto, ma non sul concetto di bellezza – ha spiegato Daverio – Lo possiamo vedere nella rappresentazione della figura femminile all'epoca di Botticelli, di Michelangelo, di Rubens, fino ad arrivare ai nostri anni '60. Vero è che questo "patto sociale" cambia molto spesso in base alla cultura, ma anche all'economia e alla contingenza socio-politica, talvolta adagiandosi e sovrapponendosi al presente, altre volte staccandosi del tutto e vivendo in conflitto. Nessuno di noi ha la sfera di cristallo – chiosa il noto critico d'arte – ma presto dovremo fare i conti con un nuovo concetto di bellezza, di urbanistica e di sostenibilità. E questo concetto dovrà essere non solo aggiornato ma anche largamente condiviso".

Da Plotino a Kant, dai filosofi medievali, con in testa San Tommaso D'Aquino, alle speculazioni del XIX secolo, a seconda degli autori o degli artisti, il bello dipende da proporzioni opportune, oppure è nella natura delle cose, è materia di conoscenza, afferisce al campo spirituale o, più semplicemente, è a misura d'uomo.
Quando David Hume scrive che la "bellezza degli oggetti risiede unicamente nella mente di chi li guarda", viene professata la teoria del soggettivismo estetico.
Ciò che noi chiamiamo "bello" era detto kalos dai Greci e pulchrum dai Romani. Ma il concetto greco di bello era molto più ampio e comprendeva non soltanto cose belle, forme, colori, suoni, ma anche pensieri ed abitudini.
Il termine latino fu usato non solo nell'Antichità ma anche nel Medioevo; scomparve nel Rinascimento, quando fu soppiantato da un vocabolo nuovo: bellum. La nuova parola ha un'etimologia davvero singolare: da bonum attraverso il diminutivo bonellum, abbreviazione di bellum.

Mille teorie e fiumi di inchiostro – e dunque innumerevoli spunti di riflessione – si sono susseguiti – e ancora si susseguono – sull'argomento: nel passato, il bello è variamente consistito nella perfezione, nell'unità nella molteplicità, nell'adeguatezza delle cose alla loro natura ed al loro fine, nella misura o nella metafora. La letteratura sul tema è praticamente steriminata. Noi ci permettiamo di suggerire un buon volume adottato anche in molte facoltà universitarie: "Storia di sei Idee" di Wladyslaw Tatarkiewicz.