Andrea Serrano, Fatal meningitisAndrea Serrano, Fatal meningitis

"Talvolta la paura della malattia è peggio che la malattia stessa".
Voglio partire da una considerazione di Adele Patrini, Presidente di CAOS, Centro Ascolto Operate al Seno di Varese.
Mi è tornata alla mente l'atra mors che devastava spopolando. E nessuno sapeva il perchè. 
Febris pestilentialis, infirmitas pestifera, morbus pestiferus, morbus pestilentialis, mortalitas pestis o più semplicemente pestilentia, pestis, la peste, il cui nome forse deriva dal latino peius a significare la "peggior malattia", compendia e riassume nel nome qualunque epidemia caratterizzata da elevata mortalità. E seguendo il ritmo di corsi e ri-corsi, la malattia tornava e ri-tornava a seminare sfacelo.

Quella del XIV secolo è la famosa "peste nera", atra mors, infirmitas inaudita, un evento cruciale e periodizzante, che segna la storia, incidendo nelle curve dell'andamento demografico ed economico. Come osserva Jacques Berlioz, questa epidemia "ha aperto e chiuso il Medioevo", segnandolo con il marchio di un flagello diffuso.

Secondo le storiche Jole Agrimi e Chiara Crisciani, la peste introdusse crudelmente nel Medioevo una "morte improvvisa e in questo senso 'selvaggia', creata da un male che faceva paura perché si identificava con la stessa morte".
La peste non discriminava tra ricchi e poveri, tra forti e deboli. Era davvero la grande livellatrice, anche se attecchiva e divampava nelle città a partire dai quartieri sovrappopolati, che erano anche quelli più poveri e sporchi, dove viveva la "minuta gente".

Quando si parla di "morte nera" il primo pensiero va alla grande epidemia di peste che si propagò fra il 1348 e il 1350 e che, secondo alcune stime, fece in Europa venticinque milioni di vittime, un quarto circa dell'intera popolazione.

Poi c'è quella descritta dal Manzoni, tra "monatti alle costole de' cavalli, spingendoli, a frustate, a punzoni, a bestemmie", "scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. (…) Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. (…) La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: "addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri." Poi voltatasi di nuovo al monatto, "voi," disse, "passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola".

L'impatto con la peste, quanto è biologicamente esiziale, tanto è psicologicamente traumatico. Fuga e aggressività, manifeste anche nell'abbandono degli appestati da parte dei familiari, sono comportamenti istintivi o inconsci, reazioni alla paura e all'angoscia della morte.
Scrive Giorgio Cosmacini: "La ragione non è più articolata di così, né meglio orientata. Essa è come colta da capogiro davanti al vuoto scientifico spalancato dall'interrogativo inquietante: cos'è la peste? (…) Invarianza nosografica o quasi, impotenza della prassi, improduttività della teoria: sono questi i connotati di una medicina sorretta da una ideologia di lunga durata,

La ragazza malata, Edward MunchLa ragazza malata, Edward Munch

modellata per metà sul senso comune, da cui trae molti spunti, e per metà sulla scienza tradizionale, di cui riconosce il prestigio e di cui cerca d'imitare lo stile. Dalla casistica clinica – una casistica di morti – non emergono problemi salvo quello, macroscopico ma paradossalmente inavvertito, di una medicina che fallisce il proprio scopo istituzionale: totalmente, per quanto attiene al guarire, o in parte, per quanto attiene al prevenire. (…) Sulla scena della peste il blocco ideologico della medicina è totale".

C'è un dipinto straordinario che esprime lo scacco alla ragione – ma non al cuore – compiuto dalla malattia. Ne "La bambina malata" di Edvard Munch, le pennellate di colore graffiato e la voluta distorsione dei contorni che paiono non a fuoco, rendono la scena come vista attraverso le lacrime dell'artista. Quì, il male getta nello sconforto perché si identifica con la solitudine e con la stessa morte.
Il volto esangue della fanciulla appare diafano e isolato dal mondo circostante. Unico tramite "fuori di sè": la mano della madre.
Forse che "il dramma della sofferenza può essere vissuto come domanda di significato, e non come definitivo sigillo sulla vita".