Nel Varesotto il mese di gennaio è costellato di feste popolari che vedono protagonista il falò, la classica catasta di legno di una volta, che prende fuoco nel cielo invernale.
In questi giorni Varese ha celebrato S.Antonio, fra poco sarà la volta di Gallarate, che brucerà la Gioebia, il manichino cioè di una vecchia strega.
Sono feste molto sentite dalla popolazione, perché legate alla tradizione e corredate da una serie di eventi di aggregazione.

Ma queste feste hanno delle radici molto antiche, oggi ormai impalpabili, tuttavia da conoscere e valorizzare. Le festività cristiane, a cominciare dallo stesso Natale, sono andate a sovrapporsi a precedenti feste pagane, sia latine che celtiche, molto spesso ispirate alla vita quotidiana e contadina.

Il falò di Varese è una ricorrenza religiosa in onore di Santo Antonio Abate, eremita egiziano, patrono degli animali domestici e di coloro che lavorano il fuoco. Una leggenda narra che andò all'inferno per recuperare le anime dei peccatori e in quell'occasione il suo maialino, l'animale con cui è rappresentato, diede molti problemi ai demoni.

Nel falò vengono buttati bigliettini dove le donne e gli uomini scrivono le proprie richieste, invocando S.Antonio, soprattutto richieste d'amore: è così dai tempi in cui i nostri emigrati tornavano e le donne li aspettavano per convolare a giuste nozze.

Dietro l'aspetto cristiano, si cela una matrice più antica, che risale all'epoca celtica. Allora in Europa in un periodo dell'anno, gennaio, venivano accesi falò in onore del dio Lug, il dio della luce, ma anche protettore di alcuni animali, come il maiale: caratteristica, a ben vedere, trasferita a S.Antonio.

Qualcosa di simile anche per la Gioebia, il cui nome deriva da giovedì. Infatti il rito si svolge l'ultimo giovedì del mese. Anche in questo caso un falò, dove viene bruciato un fantoccio con le sembianze di una vecchia strega.
Dubbia è ancora oggi l'origine di questa figura, alcuni pensano all'epoca della caccia alle streghe e all'Inquisizione, altri la legano alle tradizioni celtiche di bruciare fantocci per ottenere influssi favorevoli per il raccolto.
Quello che accomuna i due riti è senza dubbio l'idea del fuoco e del falò, che senza dubbio rimanda al concetto di purificazione legato al fuoco stesso. Nel mondo agricolo delle origini il rito era propiziatorio: si purificava la terra in vista del nuovo anno e della nuova semina, con il desiderio di un buon raccolto, proprio come i bigliettini bruciati a Varese. Invece bruciare il fantoccio significava chiudere con l'anno passato e proiettarsi verso il futuro.